Una maxi operazione di forze dell’ordine italiane e Interpol, un giallo politico ancora irrisolto e un nome: Boris Boyun. All’alba di mercoledì 22 maggio gli agenti hanno fatto irruzione in un appartamento in via Cardinal G. Francesco di Gambara della frazione viterbese di Bagnaia: lì viveva da tempo agli arresti domiciliari il boss della mafia turca Boyun. Il blitz è stato eseguito da centinaia di poliziotti coordinati dall’antiterrorismo milanese, in particolare dal pm Bruna Albertini e dal procuratore Marcello Viola. L’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip Roberto Crepaldi riguarda in totale 19 persone e fa seguito all’indagine della Procura meneghina sulla rete criminale di Boyun. Tra le accuse anche banda armata con finalità di terrorismo, attentato terroristico e omicidio.
Boyun è uno degli uomini più ricercati da Ankara. Ed è nel mirino del presidente turco Recep Tayyip Erdogan. Era stato arrestato nell’agosto del 2022 a Rimini, a seguito di un mandato di cattura internazionale emesso nei suoi confronti appunto dal governo turco per le accuse di omicidio, minacce, lesioni, associazione a delinquere e violazione sulla legge sul possesso di armi. Al momento del suo arresto, Boyun aveva fortemente rigettato le accuse, sostenendo di essere un perseguitato politico di origini curde, e di aver già chiesto la protezione internazionale all’Italia. In seguito, il presunto boss era stato al centro di una querelle tra lo Stato italiano e quello turco. Erdogan ne aveva chiesto l’estradizione, ma la sua richiesta era stata rigettata prima dal tribunale di Bologna e in seguito dalla Corte di Cassazione.
Cosa sia cambiato ora tra il governo Meloni e il governo di Ankara non è chiaro. La certezza è Boris Boyun intorno alle 5:30 è stato portato via dagli agenti per essere condotto presumibilmente a Milano. “Boyun Baris dice che d’ora in poi non farà lavorare pistole, dice razzi, bombe, tutto. D’ora in poi non mi fermerò, che tutti stiano attenti ormai. d’ora in poi che tutti escano dai propri luoghi di lavoro, che escano dalle loro fabbriche, raderò al suolo ovunque, sono uscito per strada ora”. Così la moglie del capo della mafia turca, anche lei destinataria dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere, in una intercettazione telefonica che fa riferimento all’attentato fallito alla fabbrica non molto distante da Istanbul legata al gruppo rivale noto come Saralar.
Dai dialoghi intercettati emerge la “determinazione” del presunto boss della mafia turca “a riorganizzare un attacco armato nei confronti di coloro che riteneva responsabili di aver attentato alla sua vita e a quella della moglie – annota il gip Roberto Crepaldi nel provvedimento – sembra intenzionato a rilanciare, utilizzando armi sempre più devastanti“. “Dammi una settimana di tempo, sto facendo grandi preparatorie, tutta la Turchia ne parlerà“. Così, intercettato mentre era ai domiciliari a Crotone, Baris Boyun stava programmando un “attentato” ad una fabbrica “di alluminio” in Turchia, anche attraverso un “kamikaze“. Attentato terroristico sventato grazie “all’intervento della polizia turca” allertata dagli investigatori italiani.
Il blitz a Bagnaia si inserisce in una grossa operazione condotta questa notte dalla Polizia, che ha portato all’arresto di altre 18 perone tra la Sicilia e la provincia di Viterbo. Indagati invece i due avvocati difensori di Baris Boyun, Antonio Buondonno e Matteo Murgo, che devono rispondere dell’accusa di ricettazione. Le accuse per gli arrestati sono, a vario titolo, associazione per delinquere aggravata dalla transnazionalità, banda armata diretta a costituire un’associazione con finalità terroristiche e a commettere attentati terroristici, detenzione e porto illegale di armi “micidiali” e di esplosivi, traffico internazionale di stupefacenti, omicidio e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. L’indagine è nata nell’ottobre 2023 dopo l’arresto di tre componenti dell’organizzazione mentre cercavano di raggiungere la Svizzera: erano in possesso di due pistole, di cui una clandestina, munizioni e materiale di propaganda. Dagli accertamenti successivi è emerso che i tre stavano facendo da scorta al loro capo, Boyun, 39 anni, ed alla compagna, i quali viaggiavano su una macchina separata.
Gli investigatori della Squadra Mobile di Como, della sezione investigativa di Milano e dello Sco di Roma, guidati dalla Procura, hanno documentato come Boyun, da un’abitazione di Crotone dove era ai domiciliari con braccialetto elettronico per detenzione e porto di arma comune da sparo, continuava a dirigere e coordinare dall’Italia la sua rete che agiva in Europa. Si va dall’organizzazione dell’ingresso dei migranti, dietro tariffe, attraverso la rotta Balcanica, all’ordine di un omicidio di un suo concittadino avvenuto il 10 marzo scorso, fino all’obbligo per i suoi sodali di commettere reati anche terroristici in Europa, in particolare a Berlino.
In Turchia, invece, sarebbe stato la “mente” dell’attentato, poi sventato grazie allo scambio di informazioni tra le polizie italiana e turca, a una fabbrica di alluminio del 19/20 marzo scorso, così mostrando di disporre di armi con una elevata potenza di fuoco e di molto denaro proveniente per lo più dal traffico di sostanza stupefacente, ma anche dal contrabbando delle sigarette e di farmaci. All’inchiesta, visti i consistenti flussi di soldi per le attività dell’associazione, ha collaborato anche la Sezione Investigativa Finanziamento Terrorismo della Gdf di Milano. L’operazione, tuttora in corso, sta coinvolgendo centinaia di poliziotti tra Svizzera e Italia, tra cui personale della Squadra Mobile di Como, dello Sco di Roma, della Sezione Investigativa Sco di Milano e di Brescia, delle Squadre Mobili di Catania, Crotone, Verona e Viterbo.