Calcio

Atalanta, da quel 0-1 col Palermo all’Europa League: gli 8 anni dell’era Gasperini che hanno trasformato una provinciale in una big

Nestorovski inguaia Gasperini”. Titolano così i giornali all’indomani della sconfitta casalinga dell’Atalanta contro il Palermo. È il 21 settembre 2016, è la quinta giornata di campionato ma sono già arrivate quattro sconfitte. La Dea è in fondo alla classifica, ha raccolto appena tre punti e l’ex tecnico del Genoa sembra già al capolinea. Nessuno può immaginarlo, ma quella rete di Nestorovski segna invece una linea di demarcazione nella storia di Giampiero Gasperini e dell’Atalanta. Un prima e un dopo. L’inizio di una rivoluzione che aveva bisogno solo di un titolo per dirsi completa.

La conquista dell’Europa League contro il Bayer Leverkusen non è solo il primo trofeo vinto in carriera da Gasperini e dalla Dea in campo europeo. È la chiusura di un cerchio. Un risultato di portata storica, al termine di un percorso memorabile, con l’eliminazione di squadre più blasonate e titolate, come il Marsiglia in semifinale e, soprattutto, il Liverpool nei quarti. L’incredibile vittoria ad Anfield Road contro i Reds è stato il vero punto di svolta. Il clic mentale necessario per capire che il sogno era davvero realizzabile. La sconfitta in finale di Coppa Italia contro la Juventus è ora cancellata.

In otto anni Gasperini ha preso l’Atalanta e ha demolito pezzo per pezzo la sua storia provinciale, sconquassando una parabola che raccontava di una settore giovanile di prim’ordine ma anche di un’altalena infinita tra promozione in Serie A e retrocessione in Serie B. Una dimensione che era cronicizzata nel tempo, con rari apici: la vittoria della Coppa Italia 1962/63 e la semifinale di Coppa delle Coppe 1987/88. Da società devota alla salvezza, l’Atalanta si è trasformata in realtà di vertice. Il tutto giocando un calcio moderno, entusiasmante, in continua evoluzione.

La sconfitta contro il Palermo in quel settembre 2016 rappresenta così la prefazione di un’epoca nuova. La stagione 2016/17 infatti viene chiusa al quarto posto. Il premio è una qualificazione europea dopo 26 anni. L’anno seguente l’Europa League finisce presto (nei sedicesimi di finale) ma serve per prendere le misure, per testare la novità del doppio impegno stagionale. L’Atalanta di Gasperini infatti dopo aver assaporato il palcoscenico europeo non ha intenzione di lasciarlo. Anzi, alza la posta. Nelle tre stagioni successive i nerazzurri arrivano per tre volte terzi in campionato (miglior piazzamento nella loro storia) e questo significa Champions League. Risultati che alleviano le amarezze per le finali di Coppa Italia perse contro Lazio e Juventus, rispettivamente nel 2019 e 2021.

Tutta l’Europa inizia a conoscere Gasperini, il suo calcio intenso, la pericolosità della Dea. Soprattutto nel 2019/20, quando l’Atalanta arriva a due minuti dalla semifinale di Champions League, prima di subire la rimonta del Paris Saint Germain. Un percorso memorabile, nel quale vengono battuti club come lo Shakhtar Donetsk nel girone e il Valencia agli ottavi. Un exploit europeo che non si ripete l’anno dopo, anche se i momenti da ricordare non mancano. Uno su tutti, la vittoria ad Anfield Road contro il Liverpool nel girone, decisiva per la qualificazione agli ottavi, dove poi arriva la sconfitta contro il Real Madrid.

Questi traguardi sono figli anche di una gestione societaria impeccabile. A Bergamo si valorizzano i talenti del vivaio, si scoprono giocatori negli angoli meno battuti d’Europa, si rilanciano protagonisti considerati persi. E così nel silenzio di uno scouting meticoloso, negli anni sono arrivati Spinazzola, Mancini, Gosens, Koopmeiners, Hojlund, Lookman, De Roon, Malinovskiy, Castagne. Chi era entrato (o stava entrando) nell’anonimato alla Dea ha invece trovato il modo di rilanciarsi o svoltare una carriera: Gomez, Zapata, Ilicic, Petagna, Cristante, De Ketelaere. Dal vivaio infine vengono lanciati nomi come Caldara, Conti, Gagliardini, Kessié, Kulusevski, Bastoni.

Una macchina che non ha lasciato in secondo piano i bilanci. L’Atalanta è una delle poche squadre di Serie A con i conti a posto. Qui si acquista al giusto prezzo, si valorizza e poi (se si ha necessità) si rivende a tanto, tantissimo. Basti pensare ai prodotti del vivaio Conti e Kessié, andati al Milan rispettivamente per 24 e 32 milioni; a Højlund arrivato per 20 milioni di euro e dopo una sola stagione venduto al Manchester United per 74 milioni; a Dejan Kulusevski, comprato a 3,5 milioni di euro e ceduto alla Juventus per 39 milioni. Le cessioni però non abbassano mai la qualità dell’Atalanta né le ambizioni. L’idea di calcio di Gasperini è la base immutabile per chiunque voglia abbracciare i colori nerazzurri.

Questo primo titolo europeo dei bergamaschi è dunque il giusto riconoscimento finale di un progetto visionario e di perseveranza. La tripletta di Lookman è stata la chiave che ha aperto la porta della storia del calcio. L’antidoto che ha spezzato una maledizione italiana in Europa League durata 25 anni, dal successo del Parma di Alberto Malesani. L’Atalanta di Gasperini ha tracciato una via nuova. Ha mostrato come una piccola realtà provinciale che ha sempre vissuto ai margini possa elevare la propria storia.