La chiusura del cerchio. Il coronamento di un percorso iniziato più di dieci anni fa. La consacrazione di una squadra che non è più solo una favola, ma una Dea. Il trionfo in Europa League, primo trofeo internazionale di sempre per questo piccolo, grande club di provincia italiana, è l’ultimo tassello che mancava alla storia incredibile dell’Atalanta.
Sarebbe misero per certi versi ridurre quanto realizzato dall’Atalanta negli ultimi anni alla vittoria di una sera. “È idiota dire che sei un perdente se non vinci trofei”, aveva spiegato di recente Gasperini. Ogni traguardo va commisurato ai mezzi a disposizione, un quarto posto o una semifinale europea a Bergamo vale quanto uno scudetto. Però è anche vero che nell’albo d’oro restano i nomi dei vincitori, e per una squadra che aveva già prodotto tanto valore e tanta bellezza, non riuscire a lasciare la propria firma rimaneva un cruccio. Ecco perché questo trofeo è ancora più importante della vittoria in sé, che già vale tantissimo per il prestigio del torneo, e a maggior ragione dopo aver battuto il Liverpool di Klopp e l’ “invincibile” Bayer Leverkusen di Xabi Alonso. Ma questa vittoria vale ancora di più: significa passare alla storia.
L’Atalanta lo merita, perché è davvero ciò che di meglio abbia prodotto il calcio italiano nell’ultimo decennio. Forse l’unico progetto degno di questo nome, con una fede incrollabile in sé stesso, perché anche Napoli e Milan – ciò che di recente più si avvicina a un modello sano in Serie A – sono alle prese con tante contraddizioni (per non dire ambiguità) delle loro proprietà. L’Atalanta no. L’Atalanta ha le idee chiare, da sempre. Un percorso lineare, una crescita costante: prima in Serie A, consolidando la categoria, passando un po’ alla volta squadra di provincia a big del campionato; quindi i primi timidi passi in Europa, lo storico debutto in Champions, che poi diventa un’abitudine, con la prossima saranno quattro partecipazioni in sei anni. E adesso il trionfo.
Porta i nomi della famiglia Percassi e di Giampiero Gasperini, il braccio e la mente, gli artefici di questo capolavoro. Il patron Percassi è semplicemente un genio: è l’unico che davvero ci ha guadagnato col pallone. Ha creato un gioiello, che gli è stato giustamente pagato a peso d’oro. Ha incassato circa 300 milioni, ma ha mantenuto la presidenza perché anche gli americani hanno capito che per far fruttare l’investimento non dovevano fare assolutamente nulla: bastava lasciare al suo posto il management. Così il cammino è proseguito, assorbendo senza scossoni anche un passaggio societario che di solito è sinonimo di turbolenze e rivoluzioni. Non a Bergamo, isola felice, capitale del calcio italiano ed europeo.
E poi c’è Gasperini, ovviamente, in panchina dal 2016: un maestro che dal grande calcio non è stato capito (nessuno l’ha cercato dopo l’infelice parentesi all’Inter), e adesso che tutti se ne sono accorti non è detto sia più interessato lui. Il Napoli di De Laurentiis lo vuole, per lasciare non ci sarebbe momento migliore. Ma a Bergamo non c’è quasi nulla che gli manchi. Lo stadio di proprietà: acquisito nel 2017, ristrutturato con un investimento da 100 milioni senza traslocare, pronto definitivamente entro l’estate. L’Under 23 in Serie C, che al primo anno dei professionisti ha già centrato i playoff.
Soprattutto, ha una squadra di provincia che ormai gioca e ragiona da big. Prima comprava ragazzini a pochi spiccioli inseguendo solo la plusvalenza. Adesso fa acquisti anche da 20-30 milioni, che a volte neanche Juve o Inter possono permettersi (come Scamacca, strappato in estate ai nerazzurri), per poi rivenderli a 100 o giù di lì. Gasperini forse sogna il momento in cui i pezzi pregiati non li cederà più. Probabilmente non arriverà mai, perché il player trading è parte integrante di questo modello che funziona così bene, ed è ormai imprescindibile nel calcio moderno. Ma certo siamo già in quella fase in cui l’Atalanta non è più costretta a farlo, può decidere quando vendere, quando trattenere, pensando solo a se stessa. Oggi è una delle squadre più forti della Serie A, che non ha più nulla da invidiare a nessuno. È un vanto per l’Italia nel mondo. È un modello, anzi, lo era già. Perché ha davvero ragione Gasperini quando dice che “ognuno è vincente nei propri limiti. Quest’anno ha vinto il Bologna, ha vinto il Lecce, ha vinto il Verona”. E avrebbe vinto comunque anche la sua Atalanta. Che però oggi ha anche un trofeo in bacheca. Finalmente.