Decisivo è il ruolo dei popoli e del diritto nella madre di tutte le battaglie degli oppressi contro gli oppressori: la questione palestinese. Di fronte ad azioni e omissioni indegne prima ancora che antigiuridiche di tanti governi, soprattutto occidentali, si sono registrate condotte popolari esemplari. Nonostante una propaganda di guerra menzognera messa in atto in Occidente non solo la maggior parte delle persone ha compreso quello che di orribile sta accadendo in Palestina e contro i palestinesi da parte dello stato israeliano, ma sono cresciute le mobilitazioni, soprattutto studentesche.
Le ragazze e i ragazzi palestinesi nel mondo insieme alle ragazze e ai ragazzi di diverse nazionalità sono in mobilitazione, agitazione e lotta senza sosta dopo tutto quello che è accaduto successivamente al 7 ottobre. L’intifada mondiale non violenta studentesca è il più importante atto politico degli ultimi anni in favore della globalizzazione dell’umanità e della giustizia. E non possono questa volta i manganelli arginare il mare così come si fece a Genova nel 2002 e ancora prima a Napoli nel 2001.
Poi c’è il ruolo fondamentale che può e deve avere il diritto in questa lotta che sembra impari di Davide contro Golia. È in atto un lavoro meticoloso che tanti giuristi stanno facendo per dimostrare il genocidio sionista in Palestina ed i crimini di guerra e contro l’umanità consumati da Israele ai danni dei palestinesi. Non più solo quindi una posizione politica di schieramento, ma lotta con il diritto per la giustizia.
Ecco quindi l’importanza dell’azione promossa dal Sudafrica contro Israele, con l’accusa anche di apartheid. La richiesta di adozione del mandato di arresto internazionale da parte del procuratore della corte internazionale dell’Aja nei confronti del primo ministro Netanyahu e del ministro della difesa israeliano sono il risultato di un lavoro giuridico concreto, serio e prezioso. Ma non basta. È giuridicamente sostenibile il concorso nel delitto di genocidio nei confronti di chi sostiene soprattutto militarmente ed economicamente Israele, anche rimanendo inerti pur avendo l’obbligo giuridico di impedire l’evento. Qui scattano le responsabilità giuridiche di governi e Stati, soprattutto occidentali.
Significativa è quindi la chiamata in giudizio davanti alla Corte internazionale della Germania da parte del Nicaragua soprattutto per la fornitura di armi. L’Italia non può chiamarsi fuori, la complicità sussiste e va perseguita.
Poi abbiamo le responsabilità delle aziende che forniscono armi e tecnologie militari ad Israele, imprese che tra l’altro vedono aumentare in maniera gigantesca i loro profitti ed alimentano con le loro azioni la furia genocida. I responsabili di tali aziende, colletti bianchi non di rado politici o strettamente collegati alla politica, debbono essere chiamati a rispondere anche loro in sede penale. E mi auguro che la magistratura italiana, come è accaduto in Olanda, intervenga al fine di interdire le ulteriori forniture di armi.
Così come corretta anche sul piano giuridico è la contestazione studentesca nel chiedere ai senati accademici delle università italiane di interrompere i progetti di ricerca con entità che alimentano sul piano della tecnologia scientifica e militare le politiche genocide dello stato d’Israele. La ricerca costituzionalmente tutelata nell’articolo 9 non contempera quei progetti prodromici a sostenere potenzialmente crimini orrendi contro l’umanità. Così come non è antisemita chi ostacola il genocidio di uno stato contro un popolo, ma è antisemita semmai chi pratica queste condotte criminali.
Il diritto e la Costituzione sono strumenti troppo poco utilizzati. Se invece si riesce a realizzare un connubio tra masse popolari e funzione rivoluzionaria del diritto allora si possono raggiungere risultati che ribaltano i rapporti di forza del potere. La strada è lunga, impervia e pericolosa, ma va attraversata con coraggio anche con la consapevolezza che sempre di più il potere cercherà di piegare il diritto abusandone e costruendolo a propria immagine e somiglianza. Per questo si deve lottare nelle strade ma anche nelle istituzioni per poter vincere con il diritto e non con le armi.