Mondo

Kosovo, il governo chiude 6 banche usate dai serbi. Belgrado protesta: “Continua il terrore contro di noi, c’è il rischio di nuove guerre”

La polizia del Kosovo ha chiuso sei filiali della Postal Savings Bank, un istituto di credito serbo operante nelle regioni settentrionali della piccola nazione balcanica. La mossa, motivata come ricordato da Euractiv dal fatto che le filiali operavano “illegalmente”, è destinata a far crescere le tensioni nel paese. La minoranza serba, pari al 10% della popolazione e concentrata nelle regioni settentrionali, lamenta discriminazioni da parte delle autorità di Prishtina ed è molto legata a Belgrado. Parti della minoranza utilizzano, ad esempio, il dinaro serbo per le transazioni e gli scambi anche se la valuta ufficiale del Kosovo è l’euro. Lo scorso primo febbraio la Banca Centrale ha dato attuazione al provvedimento che definisce l’euro, adottato unilateralmente dalle autorità locali nel 2002, come la sola valuta per le transazioni e questa decisione ha creato problemi a tutti quei serbo-kosovari che utilizzano il dinaro. Il premier Albin Kurti ha chiarito che il dinaro non è stato vietato (potrà continuare ad essere impiegato nelle transazioni informali) ed ha incoraggiato i serbo-kosovari ad aderire al sistema bancario statale. Belgrado, però, è di tutt’altro avviso perché spende circa 120 milioni di euro l’anno per finanziare un sistema di istituzioni “parallele” destinate ad erogare servizi ai serbo-kosovari e ad ottenerne la fedeltà.

La Serbia non ha riconosciuto l’indipendenza di Prishtina, proclamata unilateralmente nel 2008 ed è in prima linea nel tutelare gli interessi dei serbi che risiedono nella nazione balcanica. Questi ultimi non si sono mai integrati con la maggioranza albanese e vivono una vita separata dal resto della nazione. Belgrado interviene in ogni controversia che riguarda i serbo-kosovari e questo stato di cose impedisce di normalizzare le relazioni diplomatiche con Prishtina. Il ministro dell’Interno serbo Ivica Dadic ha condannato la chiusura delle filiali ed ha affermato, come riportato da Euractiv, che Kurti “continua con il terrore nei confronti dei Serbi in Kosovo” e che “se la comunità internazionale non interverrà questo potrà portare a nuove guerre nei Balcani dalle conseguenze imprevedibili”. Le minacce di Dadic sono in linea con l’ideologia nazionalista dell’esecutivo serbo e parlano alla pancia di una nazione che non accetta in toto la dipartita di Prishtina.

Le tensioni legate alla questione valutaria fanno seguito alla cosiddetta “battaglia delle targhe”, una controversia durata oltre due anni che ha rischiato di provocare una rottura definitiva tra Belgrado e Prishtina. Tutto era iniziato con la decisione, presa dal governo Kurti, di imporre il cambio delle targhe ai veicoli serbi in entrata nel territorio kosovaro ma la dura reazione delle autorità di Belgrado e della minoranza serbo-kosovara aveva portato il Paese sull’orlo della guerra civile. La situazione è stata poi risolta grazie alla lunga mediazione portata avanti dall’Unione europea ma è esemplificativa dei continui dissidi che intercorrono tra le due nazioni. Il violento conflitto, scoppiato nel 1999 tra i separatisti albanesi dell’Uck e l’esercito serbo e conclusosi con l’intervento dell’Alleanza Atlantica a fianco della popolazione kosovara, ha lasciato profonde ferite nelle due nazioni ed è troppo recente per poter essere dimenticato.

L’unica cosa che sembra unire il Kosovo e la Serbia è l’aspirazione ad entrare nell’Unione europea ma, paradossalmente, questo potrà avvenire solo quando verranno normalizzate le relazioni bilaterali. Si tratta di un obiettivo difficile da raggiungere per diversi motivi. Belgrado non può permettersi di riconoscere l’indipendenza del Kosovo perché scontenterebbe larga parte della propria popolazione, tradirebbe la causa del nazionalismo serbo e si inimicherebbe la Federazione Russa, uno dei partner più importanti della nazione balcanica. Mosca ha stretti legami economici, politici, culturali e militari con Belgrado ed ha appoggiato la battaglia condotta dall’alleato contro l’indipendenza del Kosovo. La questione è complessa anche a Prishtina perché l’attuale esecutivo è guidato dal partito nazionalista di sinistra Vetvendosje! e perché le autorità locali non possono concedere molto alle esigenze della minoranza serba senza perdere di credibilità.