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Strage di Capaci, Mattarella: “Come dicevano Falcone e Borsellino, la mafia è destinata a finire. Ma serve impegno nel combatterla”

“La mafia può essere sconfitta ed è destinata a finire. Ma l’impegno nel combatterla non viene mai meno”. Nel 32esimo anniversario della strage di Capaci, nella quale persero la vita Giovanni Falcone, la moglie Francesca Morvillo e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro, il capo dello Stato fa sue le parole del magistrato e di Paolo Borsellino e ribadisce l’impegno della Repubblica nella lotta alla criminalità organizzata. Una guerra che è destinata a essere vinta, ma non senza lo sforzo continuo delle istituzioni, dice.

“I tentativi di inquinamento della società civile, le intimidazioni nei confronti degli operatori economici, sono sempre in agguato – ha aggiunto Mattarella nel suo messaggio – La Giornata della legalità che si celebra vuole essere il segno di una responsabilità comune”. Responsabilità che vuol dire anche rimanere vigili rispetto a tutti i fenomeni mafiosi che ancora oggi affliggono il Paese: “È necessario tenere alta la vigilanza. Gli anticorpi istituzionali, la mobilitazione sociale per impedire che le organizzazioni mafiose trovino sponde in aree grigie e compiacenti, non possono essere indeboliti. L’eredità di Falcone e Borsellino è un patrimonio vivo che appartiene all’intera comunità nazionale. Portare avanti la loro opera vuol dire lavorare per una società migliore”.

Il presidente torna poi a ricordare quanto Capaci abbia inciso nella storia italiana, quanto questo atto “vile” segnò il confine tra un prima e un dopo nella consapevolezza dei cittadini rispetto al fenomeno mafioso: “L’attentato di Capaci fu un attacco che la mafia volle scientemente portare alla democrazia italiana. Una strategia criminale che dopo poche settimane replicò il medesimo, disumano orrore in via D’Amelio. Ferma fu la reazione delle Istituzioni e del popolo italiano. Ne scaturì una mobilitazione delle coscienze. La lezione di vita di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino divennero parte della migliore etica della Repubblica”. E ha quindi chiuso ricordando non solo le vittime di quel 23 maggio 1992, ma anche quelle del successivo attentato di via D’Amelio: “A trentadue anni da quel tragico 23 maggio è doveroso ricordare anzitutto il sacrificio di chi venne barbaramente ucciso: Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Antonio Montinaro, Rocco Dicillo, Vito Schifani. Insieme a loro ricordiamo Paolo Borsellino, Emanuela Loi, Agostino Catalano, Walter Eddie Cosina, Vincenzo Li Muli, Claudio Traina. Testimoni di legalità, il cui nome resta segnato con caratteri indelebili nella nostra storia. I loro nomi sono affermazione di impegno per una vittoria definitiva sul cancro mafioso e il pensiero commosso va ai loro familiari che ne custodiscono memoria ed eredità morale”.