L’annuncio a sorpresa, da parte del primo ministro Rishi Sunak, della data delle prossime elezioni politiche britanniche, il 4 luglio, ha subito innescato una serie di sfide. La più importante, naturalmente, è quella per la guida del Paese: sembra certa la vittoria del Labour di Keir Starmer, che i principali sondaggi danno in vantaggio di almeno 20 punti sul partito conservatore al governo.
Poi ci sono le sfide minori, o simboliche: la più appassionante appare quella appena lanciata dall’ex segretario laburista Jeremy Corbyn, che proprio stamattina ha lanciato la sua candidatura da indipendente nella circoscrizione di Islington Nord, di cui è stato il rappresentante laburista dal 1983. In un editoriale pubblicato dal quotidiano locale, la Islington Tribune, Corbyn ha ribadito il suo intento di servire la comunità: “Ogni giorno, sono ispirato dal lavoro svolto nel nostro ospedale, nelle moschee, nelle chiese, nei club giovanili, nelle scuole, nei banchi alimentari e nei centri comunitari. Incontrare persone, imparare da loro e lavorare insieme a loro per costruire una società più giusta. Questo è ciò che significa essere un deputato. Credo nella democrazia”.
Ma ha anche preso le distanze dal partito in cui ha militato da quando aveva 16 anni, ricordando come il Comitato centrale gli abbia negato la possibilità di candidarsi fra le sue fila, selezionando altri possibili nomi al suo posto. “Ai membri locali del Partito Laburista di Islington North è stato impedito di scegliere il proprio candidato, il che ha privato tutti nella comunità del loro potere decisionale. Sono sconvolto dal modo in cui le persone locali sono state trattate. Dobbiamo alzarci in piedi e difendere i nostri diritti. Ecco perché mi candido come indipendente per il popolo di Islington North”. Immediata la reazione del partito, che lo ha espulso.
La sfida di Corbyn ha concrete possibilità di danneggiare il Labour, che rischia di perdere una delle circoscrizioni elettorali più sicure di Londra. Ad Islington North l’ex segretario è profondamente radicato ed apprezzato: vive in un modesto appartamento del quartiere, il sesto più povero di Londra: è una presenza fissa dei principali eventi locali, ha rapporti consolidati con il tessuto economico e sociale multiculturale, inclusa l’ampia comunità musulmana alienata dalla scelta di Starmer di non fare appello ad un immediato cessate il fuoco a Gaza. La sua candidatura è l’ultimo atto di un conflitto fra l’ex segretario e la nuova leadership laburista iniziato nel 2019.
Dopo la bruciante sconfitta del Labour, sotto la sua guida, alle politiche di quell’anno, Corbyn era stato costretto alle dimissioni e rimpiazzato proprio da Keir Starmer, fino ad allora un suo stretto collaboratore. Starmer aveva quasi immediatamente fatto piazza pulita dei sostenitori di Corbyn, raccolti nel movimento Momentum e molto più a sinistra della linea centrista scelta dalla nuova segreteria. L’operazione di isolamento è stata molto sistematica a livello nazionale, con rappresentanti di Momentum via via estromessi da ogni processo decisionale, sia a livello locale che congressuale, tanto che il movimento da qualche mese sta valutando se staccarsi ufficialmente dal Labour e creare una forza politica di sinistra indipendente.
Starmer ha condannato pubblicamente Corbyn alla pubblicazione, nel 2020, dei rapporto della Commissione per l’Uguaglianza e i Diritti umani che aveva confermato casi di antisemitismo e abusi nel partito sotto la guida dell’ex segretario. Pur condannando ogni forma di antisemitismo, Corbyn aveva commentato: “Chiunque affermi che non ci sia antisemitismo nel Partito Laburista si sbaglia” ma aveva aggiunto che “l’entità del problema è stata anche drammaticamente esagerata per ragioni politiche dai nostri avversari, sia all’interno che all’esterno del partito, così come da gran parte dei media”. Questa reazione gli era costata la sospensione temporanea dal parlamento, diventata permanente con una decisione diretta di Starmer. Da allora Corbyn ha partecipato ai lavori parlamentari da indipendente, contestando la linea laburista sia sui dossier di politica economica che sulla politica estera. È, ad esempio, una presenza costante alle marce londinesi per il cessate il fuoco a Gaza, e si oppone in parlamento all’invio di armi ad Israele.