Cinema

Giuseppe Maggio: “Ultimo Tango a Parigi fece scalpore per la scena di sodomia ma nessuno pensò alla violenza subita da Maria Schneider sul set”

L'attore reduce da Cannes racconta a FqMagazine la sua esperienza sul set di "Maria"

di Andrea Conti
Giuseppe Maggio: “Ultimo Tango a Parigi fece scalpore per la scena di sodomia ma nessuno pensò alla violenza subita da Maria Schneider sul set”

Giuseppe Maggio, uno dei volti più apprezzati del nuovo cinema italiano, è reduce dal Festival di Cannes dove ha presentato con Matt Dillon e Anamaria Vartolomei il film “Maria”, diretto da Jessica Palud che ricostruisce la parabola di Maria Schneider dopo “Ultimo Tango a Parigi”. Giuseppe Maggio interpreta proprio il regista premio Oscar, Bernardo Bertolucci. L’attore è ttualmente e impegnato nelle riprese della nuova serie Netflix: “Mrs. Playmen” con Carolina Crescentini e Filippo Nigro, storia dell’iconica rivista erotica nata in Italia negli Anni 60, dove interpreta un fotografo. Abbiamo incontrato in centro a Milano l’attore prima che tornasse sul set Netflix per continuare a girare.

“Mi sento in colpa per quello che ho fatto, però lo rifarei”. Così Bertolucci sulla famosa scena violenta di “Ultimo tanto a Parigi”. Cosa ti ha spinto a interpretarlo?
La mia riflessione nasce dalla necessità che avevo di comprendere il personaggio Bertolucci e per comprenderlo ho studiato il suo trascorso, la sua vita, la famiglia e il contesto in cui è nato vissuto e cresciuto.

E cosa hai capito?
Quando è stato girato il film era un momento di grande cambiamento post ’68. La cosa paradossale è che quando è uscito al cinema, ha suscitato scandalo più la scena sodomia che non la violenza che era stata fatta sul corpo della Schneider. Credo fosse il frutto di una società patriarcale e maschilista. Mi sembra evidente che, guardandola con gli occhi di oggi, quel che è accaduto è stato molto grave ed è insindacabile. Ma quello che è accaduto allora è figlio di quel tempo. Per fortuna negli anni ci sono state delle evoluzioni in tutti i campi.

Qual è stato l’aspetto su cui hai lavorato di più per rendere al meglio Bertolucci?
Sicuramente l’ego. Ho anche sognato di avere un mattone sopra lo sterno e mia sorella mi disse che era l’ego. Secondo me, era un aspetto della personalità del regista che meritava di essere approfondito. Così con quel mattone e quel macigno sul petto, ho portato avanti l’interpretazione di Bertolucci.

Anche tu sei mosso da ego?
Ho imparato a riconoscerlo e mi accorgo subito quando una risposta di un mio atteggiamento è dettato dall’ego… Che poi non è detto che sia sempre una cosa negativa (ride, ndr).

Hai scoperto nuovi lati di te mentre studiavi dei ruoli?
Sì. Ci sono dei ruoli importanti che mi hanno permesso di cambiare, anche come uomo come il poter affrontare certe tematiche e lavorare sulle sfumature del mio carattere. Un lavoro complesso che ti porta poi ad avere a che fare con lati di te che non avevi mai ipotizzato.

Qual è la caratteristica che hai scoperto, ad esempio, e che non pensavi di avere?
La determinazione e questo lo devo al ruolo di Bertolucci.

Sei dovuto ingrassare per ragioni di copione, come hai vissuto la trasformazione del corpo?
È stato come avere gli occhi puntati addosso. Un po’ come quando mi è successo da ragazzino, quando d’un tratto e per caso è scoppiato il successo del primo film a cui ho partecipato (“Amore 14” di Federico Moccia, ndr). Non ero pronto né strutturato per sostenere tutto quello.

Quali sono state le conseguenze?
Ho sviluppato delle sicurezze e delle corazze che sono solo apparenti e che ho dovuto utilizzare per reggere botta, anche perché ero un po’ spaventato. E poi avevo perso ‘l’invisibilità’ che avevo prima del boom cinematografico.

Come sei uscito dalla bolla di insicurezza?
Quando ho capito che dovevo cercare altrove la sicurezza, quando capisci che non hai più bisogno di quelle maschere che indossavi prima e di cui ti nutrivi.

Dietro cosa ti nascondevi?
Dietro una apparente durezza. Poi chi mi ha conosciuto è rimasto stupito.

Perché?
Mi dicevano ‘sei simpatico, sei carino, non pensavo’. Credo di essere stato duro all’esterno anche per evitare il confronto, agli inizi non mi trovavo bravo come attore. Oggi rivedo quell’atteggiamento con dolcezza.

Cosa ti rimproveravi?
Forse il fatto di non essere pronto nel 2009 ad essere stato catapultato in quel mondo senza aver mai studiato. Soprattutto pretendevo da me cosa impossibili, quando non ne avevo i mezzi e le conoscenze. Poi col tempo ho studiato, ho cercato di migliorare…

Che ragazzino eri?
Non sono mai stato estroverso o quantomeno lo ero con i miei amici selezionati. Ma non facevo amicizia con tutti. Non ho mai avuto un gruppo di amici. Prediligo i rapporti a due.

Come mai?
Per la mia esperienza il legame che si crea tra due amici è molto più forte e duraturo. Si crea quasi un rapporto di fratellanza.

Il tuo vivere un rapporto esclusivo l’hai pagata nella vita professionale e personale?
No, perché mi sono sempre comportato così. Non vado ai party, alle occasioni mondane a far amicizia con la gente che vi partecipa a stringer mille mani ed essere gentile e disponibile con tutti. Non sono bravo in questo e non frequento lo showbiz. Certo, vado dove e quando serve ovviamente. Preferisco stare a casa con i miei amici e le persone a cui voglio bene e dove so che non devo indossare maschere.

Sei estraneo a quello che Giuliana De Sio definisce “il circoletto romano”?
Ma non frequentando quegli ambienti, non saprei dirti se esista veramente. Io ho preferito studiare lo spagnolo e il francese, in modo anche da poter far film fuori dall’Italia. Ho impiegato il mio tempo diversamente. Credo però che il sistema cinema sia cambiato.

In che senso?
Che con le piattaforme non puoi sbagliare. C’è un feedback, un riscontro nero su bianco e di percepito. Forse c’è più meritocrazia.

Su cosa ti concentri quando scegli un film?
Su cosa vuole comunicare quella storia. Scelgo un film che crei dibattito.

Hai pensato a quale storia ti rimane da affrontare e che ti piacerebbe raccontare?
So che è molto ‘americana’ come visione, ma mi affascinano molto le storie degli sportivi. Uomini e donne che dedicano interamente la loro vita allo sport con dedizione e grande spirito di sacrificio. Ne ho conosciuti parecchi quando giocavo a calci, molti ragazzi che militavano nella Roma e nella Lazio. Per loro non esisteva una vita “normale” fatta di sigarette, serate in discoteca… Poi accade che ti infortuni e tutto il tuo mondo crolla.

Che fine fanno?
Si ritrovano dal nulla a ripartire da zero e a far altri lavori. Mi affascina molto questo percorso psicologico che vorrei affrontare.

Oggi vivi a Roma ma hai frequentato molto Parigi, alla quale hai dedicato il romanzo “Ricordami di te”. Cosa ti ha colpito di quella città?
È una città che ti leva il respiro in qualche modo per quanto sia meravigliosa. Quando ti fermi su uno dei ponti hai la sensazione di grandezza e immensità.

(Photo Credits Alan Gelati)

Community - Condividi gli articoli ed ottieni crediti
Precedente
Precedente
Successivo
Successivo
Playlist

I commenti a questo articolo sono attualmente chiusi.