A Pozzuoli si cerca di tornare alla normalità ma la paura è ancora nell’aria. I segni delle scosse dei giorni scorsi si notano tra i palazzi sgomberati, delimitati dal nastro e dai calcinacci ancora a terra. “Viviamo qui da generazioni – ci dice un barista che ci mostra il video della scossa di magnitudo 4.4 registrato dall’interno della sua attività – l’ultima ci ha fatto davvero paura ma ci siamo abituati e non ho mai pensato di andare via, nemmeno se mi danno soldi”. In questi giorni si è parlato della possibilità di ridurre una popolazione di centinaia di migliaia di persone offrendo incentivi per andare via in maniera definitiva, ma la maggior parte dei cittadini che abbiamo interpellato non prende proprio in considerazione questa ipotesi. “Qui c’è tutta la mia vita – ci spiega un signora – sono nata qui e ho investito qui, ho un’attività da 40 anni e sinceramente non comprendo chi si chiede come si faccia a vivere e a lavorare ancora in un territorio come i Campi Flegrei, ma perché – aggiunge – ai giapponesi gli chiedono perché vivono ancora lì pur sapendo che si trovano sull’area più sismica del mondo?”. Chi vive qui è abituato a convivere con questi fenomeni anche se il paragone coi territori nipponici non regge se si confrontano le due differenti ‘culture’ a proposito di edificazione in zone sismiche. Lo ammettono gli stessi abitanti. “Qui ci sono alberghi costruiti dentro la Solfatara – ci dice un signore – interi complessi abitativi, per lo più case popolari, edificati direttamente sul cratere e addirittura una residenza per anziani proprio all’ingresso della Solfatara”. Oggi spostare circa centinaia di migliaia di persone è chiaramente un problema. “Ma Pozzuoli doveva avere una popolazione di 50mila abitanti – ci dice una signora – oggi non è così, anzi, fino a ieri si continuavano a dare concessioni edilizie”. Adesso lentamente si cominciano a delocalizzare scuole e uffici pubblici. “Ma potevano farlo in questi 40 anni – ci spiega un anziano in attesa del sopralluogo dei tecnici del comune per capire se può rientrare in casa – potevano spostare parte della popolazione gradualmente o magari dare meno concessioni. Oggi però quello che chiediamo non è andar via ma un sostegno per convivere con questa situazione. Campagne informative serie, vie di fuga accessibili (il piano di evacuazione è previsto in caso di eruzione ndr), verifiche sismiche più rapide e magari un aiuto per rendere, laddove possibile, le abitazioni più sicure in caso di scosse più forti”.