Crime

“La lastra di cemento che era dietro la lapide di Katy è stata gettata nel Tevere”: cosa lega Emanuela Orlandi al furto della bara di Skerl

La notizia, se convalidata da un'eventuale ispezione del fondale del fiume, potrebbe dare nuovi elementi per indagare sul truce delitto irrisolto, avvenuto 40 anni fa, della figlia del regista apolide di avanguardia Peter Skerl

di Alessandra De Vita
“La lastra di cemento che era dietro la lapide di Katy è stata gettata nel Tevere”: cosa lega Emanuela Orlandi al furto della bara di Skerl

“La lastra di cemento che era dietro la lapide di Katy Skerl fu gettata nel Tevere”: lo ha dichiarato martedì scorso al pm Stefano Luciani il fotografo romano Marco Fassoni Accetti. Le sue parole sono state sottoscritte in un memoriale consegnato a Luciani e ora agli atti. La notizia, se convalidata da un’eventuale ispezione del fondale del fiume, potrebbe dare nuovi elementi per indagare sul truce delitto irrisolto, avvenuto 40 anni fa, della figlia del regista apolide di avanguardia Peter Skerl. La deposizione giunge nei giorni in cui la commissione parlamentare si inchiesta indaga sulle sparizioni di Emanuela e Orlandi e Mirella Gregori a cui il delitto Skerl è stato collegato dallo stesso Accetti in passato.

La ricostruzione del macabro furto
Secondo la ricostruzione del pm Amelio del 2022, i ladri sarebbero entrati in azione attorno al 2005-2006. Probabilmente, dopo aver tolto e rimesso a posto la lapide, avrebbero occultato la lastra di cemento per poi gettarla nel fiume soltanto nel 2015. E adesso spunta il nuovo dettaglio del lancio della lastra nel Tevere, da un ponte nel centro di Roma. Il parapetto dal quale sarebbe avvenuto non sarebbe stato precisato da Accetti. Gli inquirenti, secondo quanto riportato sul Corriere, sono certi che il furto sia stato opera sua. Lo stesso Accetti in passato ha dichiarato che il movente del furto era eliminare una prova del collegamento tra il delitto Skerl e il sequestro Orlandi, vale a dire la camicetta indossata dalla defunta Skerl con l’etichetta “Frattina”: parola che compariva in un comunicato di rivendicazione diffuso dai presunti rapitori di Emanuela nel novembre del 1984. Il cadavere di Katy Skerl potrebbe anche essere stato occultato per cancellare eventuali tracce di Dna sul suo corpo.

Il delitto
La 17enne Katy fu ritrovata senza vita il 22 gennaio del 1984 a Grottaferrata, in un vigneto. Fu strozzata con un filo di ferro e con la cinghia del borsone che aveva con sé quando la sera prima, andò via da una festa di amici in una casa di Largo Cartesio, nel quartiere di Montesacro alto. Avrebbe dovuto poi incontrare la sua amica Angela alla fermata metro di Lucio Sestio e all’indomani sarebbero dovute partire insieme per la neve. Ma Katy a Lucio Sestio non giunse mai.

La profanazione
Nel 2015, con un post pubblicato nel suo blog dal titolo “Cenotafio – una eventuale tomba vuota”, Marco Accetti per la prima volta parlò pubblicamente del furto della cassa di Katy, sepolta al Verano ma non fu creduto dal procuratore Giuseppe Pignatone che raccolse la sua testimonianza. Dopo ben sette anni, nel luglio 2022, dopo un esposto della famiglia Skerl, il sostituto procuratore Erminio Amelio decise di controllare e trovò il loculo numero 115 vuoto: la bara della povera Katy era scomparsa. Da qui fu aperta un’inchiesta per sottrazione di cadavere.

Nuovi elementi di indagine
“Come da me già dichiarato al pm Amelio il blocco di cemento che era collocato tra la lapide della Skerl e la bara nell’anno 2015 fu gettato nel fiume Tevere da ponte Vittorio Emanuele II, il più vicino alla basilica di San Pietro” ha dichiarato Accetti nei giorni scorsi, come riportato dal Corriere. Come e perché dei ladri abbiano potuto compiere il sacrilegio al cimitero monumentale nel cuore di Roma resta ignoto e incomprensibile. Secondo Accetti, fu una vendetta della fazione del Vaticano opposta a quella dei rapitori di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori.

Il testimone
Chi è Marco Fassoni Accetti? Lo stesso uomo che fece ritrovare in un capannone a Roma alla famiglia Orlandi un flauto che affermò appartenesse a Emanuela, benché sullo strumento non siano state ritrovate tracce del Dna della 15enne vaticana scomparsa il 22 giugno del 1983 a Roma. Il fotografo romano, classe ‘55 compare in sei casi di scomparsa o omicidi degli anni ‘80-’90. Nel 1983, era a bordo di un furgone quando travolse il piccolo Josè Garramon che purtroppo morì sul colpo. Si è autoaccusato di essere il rapitore di Emanuela Orlandi ma la famiglia non gli ha mai creduto. Non ha mai avvalorato questa tesi con elementi riscontrabili, al di là delle parole. Si è autoaccusato anche in merito alla sparizione di Mirella Gregori, 15enne romana scomparsa il 7 maggio dell’83. La sua testimonianza sul furto della bara di Katy Skerl risale invece al 2015.

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