In uno studio del 2023, Ian Tattersall, paleoantropologo e curatore del museo di storia naturale di New York, ha monitorato i volumi della scatola cranica degli antichi ominidi nel tempo
Il cervello umano si è rimpicciolito: è più piccolo di quello dell’Homo Sapiens del 12,7%. È credenza comune considerare che il “grande cervello umano” sia ciò che distingue gli uomini dagli animali. La capacità di pensiero e le facoltà cognitive hanno consentito al genere umano di svilupparsi ed evolversi, generando arte e cultura, da Monet a Dante, hanno permesso invenzioni come la ruota, la radio, il telefono e il computer e hanno reso possibili grandi imprese, come lo sbarco sulla Luna. Rispetto ad altri animali di dimensioni simili, il cervello umano è gigantesco. Le dimensioni del cervello umano sono quasi quadruplicate negli ultimi sei milioni di anni trascorsi dall’ultima volta in cui il genere ha condiviso un antenato comune con gli scimpanzé. Tuttavia, recenti studi hanno dimostrato che questa tendenza verso cervelli più grandi si è invertita nell’Homo sapiens.
Nella specie umana, le dimensioni medie del cervello si sono ridotte nel corso degli ultimi 100.000 anni. Gli uomini sono più intelligenti dei Sapiens, vissuti circa tra i 200 mila e 130 mila anni fa, ma le dimensioni del cervello sono inferiori. In uno studio del 2023, Ian Tattersall, paleoantropologo e curatore del museo di storia naturale di New York, ha monitorato i volumi della scatola cranica degli antichi ominidi nel tempo, partendo dalle specie più antiche conosciute fino agli esseri umani moderni e ha scoperto che la rapida espansione del cervello si è verificata in modo indipendente in diverse specie di ominidi in Asia, Europa e Africa, tra cui Australopithecus afarensis, Homo erectus, Homo heidelbergensis e Homo neanderthalensis. Tattersall suggerisce che la riduzione delle dimensioni del cervello sia iniziata circa 100.000 anni fa, in coincidenza con il passaggio degli esseri umani da uno stile di pensiero più intuitivo a uno di “elaborazione simbolica delle informazioni”, un pensiero più astratto per comprendere meglio l’ambiente circostante. “La riduzione ha avuto inizio circa 100.000 anni fa, quando il pensiero degli uomini preistorici è diventato più astratto”, ha detto Tattersall. “Poiché cervelli più piccoli e meglio organizzati erano in grado di eseguire calcoli più complessi – ha precisato Tattersall – cervelli più grandi, metabolicamente costosi, semplicemente diventavano inutili”.
La scoperta di Tattersall replica quella di altri studiosi. Nel 1934, Gerhardt Von Bonin, uno scienziato di origine tedesca affiliato all’Università di Chicago, scrisse che vi era una chiara indicazione di una diminuzione del cervello umano, almeno in Europa negli ultimi 10.000 o 20.000 anni. secondo Tattersall, il catalizzatore di questo cambiamento è stata l’invenzione spontanea del linguaggio, che ha portato alla riorganizzazione dei percorsi neurali del cervello in modo più efficiente dal punto di vista metabolico, permettendo agli esseri umani di ottenere un miglior “rapporto qualità-prezzo”. In altre parole, man mano che cervelli più piccoli e meglio organizzati erano in grado di eseguire calcoli più complessi, cervelli più grandi e metabolicamente costosi sono diventati inutili. Jeff Morgan Stibel, uno scienziato cognitivo del Museo di Storia Naturale in California, ritiene che il cambiamento del clima, piuttosto che del linguaggio, potrebbe spiegare la riduzione delle dimensioni del nostro cervello. In uno studio del 2023, ha analizzato i crani di 298 Homo sapiens negli ultimi 50.000 anni e ha scoperto che il cervello umano si è rimpicciolito negli ultimi 17.000 anni circa, ovvero dalla fine dell’ultima era glaciale. Quando lo scienziato ha esaminato attentamente i dati climatici, ha scoperto che la diminuzione delle dimensioni del cervello era correlata ai periodi di riscaldamento climatico.
“Quello che abbiamo visto è che più caldo è il clima, più piccola è la dimensione del cervello negli esseri umani, e più freddo è il clima, più grande è il cervello”, ha sottolineato Stibel. “Il momento in cui è iniziato il processo risale a partire di 17 mila anni fa, cioè dopo l’ultima grande glaciazione”, ha dichiarato Stibel. “Cervelli più piccoli avrebbero potuto consentire agli esseri umani di raffreddarsi rapidamente. È noto che gli esseri umani nei climi caldi hanno sviluppato corpi più magri e più alti per massimizzare la perdita di calore. È possibile che il cervello si sia evoluto in modo simile. “Oggi, se fa caldo, possiamo indossare una maglietta, tuffarci in una piscina o accendere l’aria condizionata, ma 15.000 anni fa queste opzioni non erano a nostra disposizione “, ha evidenziato Stibel. “Il cervello è il più grande divoratore di energia tra tutti gli organi, poiché pesa circa il 2% della nostra massa corporea ma consuma oltre il 20% della nostra energia metabolica a riposo”, ha continuato Stibel. “Quindi – ha osservato Stibel – se il cervello è un grande consumatore di energia e calore, allora dovrebbe probabilmente adattarsi anche al clima”. La teoria è che i cervelli più piccoli dissipano meglio il calore e hanno anche una produzione di calore ridotta”, ha aggiunto Stibel.
La teoria più plausibile per spiegare il restringimento del cervello umano è quella che fa risalire il tutto a quando gli antenati dell’uomo smisero di essere cacciatori-raccoglitori, misero radici e iniziarono a costruire società complesse. Nel 2021, Jeremy De Silva, un antropologo del Dartmouth College negli Stati Uniti, ha analizzato fossili cranici che vanno dall’ominide del Miocene Rudapithecus, risalenti a 9,85 milioni di anni fa, sino agli esseri umani moderni, da 300.000 a 100 anni fa. secondo le stime dello scienziato, il cervello umano ha iniziato a ridursi solo 3.000 anni fa, più o meno nello stesso periodo in cui iniziarono ad emergere civiltà complesse, anche se da allora ha rivisto i suoi calcoli, sostenendo che il declino delle dimensioni del cervello è avvenuto tra 20.000 e 5.000 anni fa.
De Silva suggerisce che la nascita di società e imperi complessi ha comportato la diffusione della conoscenza e dei compiti. Le persone non dovevano più sapere tutto e poiché gli individui non dovevano più pensare tanto per sopravvivere, il loro cervello si è ridotto di dimensioni. Tuttavia, anche questa teoria è contestata. “Non tutte le società di cacciatori-raccoglitori sono diventate complesse allo stesso modo, ad esempio, degli egiziani 3.000 anni fa, ma anche in queste società le dimensioni del cervello si sono ridotte”, ha dichiarato Eva Jablonka, professoressa emerita presso il Cohn Institute for the History and Philosophy of Science and Ideas presso l’Università di Tel Aviv in Israele. Jablonka sostiene che, anche se i cervelli si sono ridotti quando sono emerse società complesse, non ne consegue necessariamente che i cervelli più piccoli siano stati una risposta adattiva. Se, 3.000 anni fa, fossero emerse società molto più grandi e complesse, ciò potrebbe essere legato a differenze molto maggiori nelle classi sociali. Se, di conseguenza, la maggioranza delle persone fosse povera, allora sarebbero la povertà e la malnutrizione a compromettere lo sviluppo del cervello.
Anche Marta Lahr, del Leverhulme Centre for Human Evolutionary Studies dell’Università di Cambridge, ha suggerito che la carenza di nutrienti potrebbe essere alla base della contrazione dei crani nell’uomo moderno. Nel 2013, la scienziata ha analizzato ossa e teschi provenienti da tutta Europa, Africa e Asia e ha scoperto che l’Homo sapiens con il cervello più grande viveva da 20.000 a 30.000 anni fa, e che il cervello umano ha iniziato a ridursi 10.000 anni fa. Questo rientra nel lasso di tempo in cui si ritiene che gli antenati abbiano smesso di essere cacciatori-raccoglitori e abbiano iniziato a stabilirsi in un unico luogo e a coltivare la terra. L’agricoltura ha portato a una maggiore dipendenza da un numero minore di colture. Per la prima volta nella storia umana, le persone non mangiavano una vasta gamma di alimenti ricchi di nutrienti. De Silva concorda che la carenza di nutrienti potrebbe aver contribuito alla diminuzione del cervello. “I coltivatori di mais in Mesoamerica, i coltivatori di riso nel sud-est asiatico, gli agricoltori di grano in Europa, tutti questi individui hanno affrontato una riduzione dell’altezza e delle dimensioni del cervello, rispetto ai cacciatori-raccoglitori che li hanno preceduti”, ha notato De Silva. Lahr ha scoperto che, dopo la Rivoluzione Industriale, quando la gente aveva accesso a più cibo e acqua pulita, i crani sono aumentati di nuovo di dimensioni. Gli studi per datare e spiegare la diminuzione del cranio sono tanti e continuano ad affascinare gli studiosi, ma ancora non si è arrivati ad una risposta definitiva che sciolga l’enigma.