In vista delle elezioni europee il Green Deal diventa anche termometro di alleanze future. Viene citato in tutti i programmi dei partiti, a tratti carenti di misure concrete: demonizzato dai Conservatori e Riformisti Europei (Ecr) di cui è leader Giorgia Meloni, da “rivedere” per il Partito popolare europeo che quel patto verde l’aveva concepito, confermato con ‘diplomazia’ dai liberali, molto attenti alle istanze del variegato mondo dell’agricoltura, ‘riequilibrato’ nel manifesto dei socialisti e baluardo da difendere per i Verdi. Per Ppe e liberali di Renew Europe restano gli obiettivi principali, ma il Green Deal non è più una priorità assoluta. Il Ppe, espressione del centrodestra, fa i conti con spaccature interne e veti imposti nei dossier chiave dell’accordo, una volta cavallo di battaglia della sua (tuttora) candidata Ursula von der Leyen. Basti pensare al regolamento sul Ripristino della natura che, di fatto, non ha raggiunto l’approvazione finale. Dietro, gli attriti tra la presidente della Commissione Ue e Manfred Weber, europarlamentare tedesco alla guida del principale partito europeo, più vicino agli interessi di grandi agricoltori industriali, cooperative e a certe posizioni di Ecr, che ai socialisti. Così, su molti dei temi, il solco creato tra Ppe e l’alleanza progressista di Socialisti e Democratici (S&D), principale realtà di centrosinistra del Parlamento, ha avvicinato questi ultimi alle posizioni dei Verdi. Tanto da avere in comune l’obiettivo di un Patto sociale e verde (o verde e sociale, a seconda della prospettiva).
Le priorità del Ppe, che prende le distanze da Socialisti e Verdi – Se cinque anni fa per Ursula von der Leyen “la sfida più pressante” era quella di “mantenere il nostro pianeta sano”, nel programma del Ppe (di cui fa parte Forza Italia) il Green Deal resta, ma cambiano toni e priorità. Nelle 22 pagine di manifesto viene citato solo a pagina 12, dopo diversi altri nodi: conflitto in Ucraina, sicurezza, immigrazione irregolare, terrorismo e crimine organizzato, violenza di genere, attacchi informatici, economia sociale di mercato, occupazione. Poi energia e mobilità. In una precedente bozza, il Ppe aveva promesso di eliminare il divieto Ue di vendere nuove auto a emissioni di CO2 dal 2035. “Abbiamo bisogno di più tecnologia, non di divieti!” scrive il Ppe, sostenendo un approccio “tecnologicamente neutrale per lo sviluppo di combustibili alternativi” e sottolineando che “senza un’economia competitiva, non esiste una protezione sostenibile del clima”. Poi prende le distanze da altri partiti: “Per noi il Green Deal non è una nuova ideologia come sostenuto da Verdi e Socialisti, ma il segno distintivo dell’Europa più prospera, innovativa, competitiva e sostenibile”. Resta l’impegno a ridurre le emissioni del 55% e raggiungere la neutralità climatica entro il 2050 ma “l’Europa non deve deindustrializzarsi”. Sul fronte energetico, si punta su scambio di emissioni, rinnovabili, “altre energie a basse emissioni di carbonio”. Il Ppe scommette su un rapido incremento della produzione di idrogeno (unico partito a farlo) e candida l’Europa “come centro di ricerca per le tecnologie innovative”, in particolare la fusione nucleare. Con ancora in corso le proteste dei trattori e i tentativi di affossare molte misure del Green Deal mai digerite a diverse industrie e all’agrobusiness, il Ppe ha dedicato ampio spazio ad agricoltori e pescatori sostenendo che, anche nell’ambito della Politica agricola comune “gli obiettivi ambiziosi vanno raggiunti con innovazioni tecnologiche, non con divieti”.
Ecr punta a una revisione approfondita della Pac e del Green Deal – A destra, Conservatori e Riformisti Europei (Ecr) puntano a una revisione approfondita della Pac (“Ne abbiamo abbastanza della burocrazia”) e della strategia Farm to fork: “Proponiamo un approccio opposto sul Green Deal a quello promosso dall’Ue negli ultimi cinque anni”. Ecr dice di voler tutelare cittadini, agricoltori e imprese “dagli impatti negativi dell’attuale politica climatica verde eccessivamente ideologica”. Un esempio: “Siamo convinti che il motore a combustione interna, testimonianza della potenza della creatività e dell’ingegno europeo, possa rimanere commercialmente sostenibile negli anni a venire adottando tecnologie all’avanguardia e investendo nella ricerca innovativa su carburanti alternativi a basse emissioni”. Note le posizioni di Identità e Democrazia, il gruppo della Lega per Salvini che ha scelto di non adottare un programma comune per i partiti aderenti, ma che non ha mai fatto mistero della sua contrarietà al Green Deal. E la Lega ha votato in questi anni praticamente contro qualsiasi misura: dalla direttiva sulle Case Green a quella sulla Qualità dell’aria, dal regolamento sul Ripristino della Natura al divieto alla vendita di veicoli nuovi a benzina e diesel dal 2035.
I Liberali strizzano l’occhio soprattutto agli agricoltori – Anche per Renew Europe (che comprende Azione, +Europa e Italia Viva) gli agricoltori hanno un ruolo cruciale. Il Green Deal resta tra le dieci priorità, ma non è certo in cima. Le “regole green e digitali” richiedono “una fase di attuazione” per Renew, che agli agricoltori dedica un documento ad hoc (“Non mordere la mano di chi ci alimenta”). “Sono arrabbiati e hanno ragione. Garantiscono la nostra sicurezza alimentare, ma sono stati descritti da una certa sinistra come nemici del clima”, mentre “la destra sfrutta il loro malcontento per innescare una guerra contro le politiche climatiche”. Una polarizzazione “che Renew Europe Now rifiuta”. L’idea di base resta: “Il rischio maggiore per i raccolti non sono le regole verdi, ma il cambiamento climatico. Gli agricoltori lo sanno, ma hanno bisogno di essere rispettati e sostenuti”. Da qui le proposte, già nel breve periodo: alleggerire oneri di agricoltori e imprese rimanendo allineati al Green Deal, creare un meccanismo sostenibile per i flussi commerciali Ucraina-Ue, estendendo le misure di salvaguardia già adottate a cereali, semi oleosi, alle colture chiave e ai prodotti animali, invitare gli Stati membri a ridurre la tassa sui combustibili rinnovabili come il biogas, aumentare la soglia ‘de minimis’ per gli aiuti di Stato all’agricoltura e valutare la capacità dell’attuale Pac di rispondere a cambiamenti climatici e crisi di mercato, aumentando la flessibilità degli Stati membri. Qualcosa, a dire il vero, hanno già fatto i recenti dietrofront della Commissione Ue.
I Socialisti e Democratici e il Patto sociale verde (simile a quello dei Greens) – Nel centrosinistra, il Green Deal è quarta delle dieci priorità di S&D, dopo la guerra in Ucraina, l’uguaglianza di genere e la questione abitativa. Subito un colpo al cerchio e uno alla botte. “C’è ancora molto lavoro da fare per raggiungere pienamente gli obiettivi del Green Deal” recita il programma. E poi: “Mentre molti vedono la transizione verde come una questione di protezione ambientale e giustizia climatica, S&D riconosce che sono in gioco fattori economici, sociali e politici complessi che vanno considerati”. Si rimanda ad alcuni degli obiettivi da perseguire (e lasciati a metà), come la legge sul Ripristino della natura (“comporta molteplici benefici, anche per gli agricoltori”). Nel manifesto del Pse, in particolare, si propone un nuovo Patto sociale verde per una giusta transizione “con energia pulita, sicura e conveniente, nuovi posti di lavoro di qualità in un’economia circolare verde e senza emissioni di carbonio e un pianeta vivibile”. Salvaguardia dell’ambiente e agricoltura sostenibile sono “due facce della stessa medaglia”: da un lato la tutela di foreste, aria, acqua, suolo, ecosistemi, biodiversità, della salute (anche contro l’inquinamento da plastica e sostanze chimiche, in particolare Pfas), dall’altro l’agricoltura. “Siamo in disaccordo con l’approccio dei conservatori secondo cui la sostenibilità è nemica degli agricoltori” che, si scrive nel manifesto, vanno “sostenuti finanziariamente e tecnicamente per raggiungere i target di transizione”. Tra i punti fermi la riduzione dell’uso di pesticidi.
I Verdi fanno i Verdi (dal clima al benessere animale) – Almeno cinque delle undici priorità dei Greens sono incentrate su tematiche ambientali. La prima è simile a quella dei socialisti, ossia un ‘Patto verde e sociale’ per l’Europa: “Daremo il via a un massiccio piano di investimenti del valore di almeno 200 miliardi di euro all’anno per proteggere le persone e il pianeta, che garantirà mezzi di sussistenza a tutti”. Investimento finalizzato a espandere i trasporti pubblici e ridurre i prezzi dei biglietti, a installare pannelli solari su tutti i tetti e a creare milioni di posti di lavoro in settori quali l’edilizia, l’energia e i trasporti. Seconda priorità, l’azione per il clima: costruire un sistema energetico rinnovabile al 100% entro il 2040, creando due milioni di nuovi posti di lavoro ed eliminare gradualmente tutti i sussidi ai combustibili fossili a partire dal 2025. Al quarto posto il ripristino della natura (“fuori dai campi pesticidi pericolosi come il glifosato”) e al sesto il sistema alimentare e la Pac (“con un terzo del bilancio Ue speso oggi per l’agricoltura industriale, investiremo in quella sostenibile”). Poi, il benessere animale: no “alle mega-fattorie crudeli”, all’uso di gabbie e agli allevamenti di animali da pelliccia, stop al trasporto di animali vivi su lunghe distanze a bordo di camion e navi.
Sinistra europea, oltre il Green Deal – Per la Sinistra europea target oltre il Green Deal, “bloccato in un quadro di riconciliazione con il sistema di produzione capitalistico che deve essere superato”. La Sinistra vuole aumentare l’obiettivo Ue di ridurre le emissioni di gas serra dal 55% al 65% entro il 2030 e anticipare la data per la neutralità climatica dell’Ue dal 2050 al 2035. Diversi gli obiettivi sul fronte dei trasporti: “Attuare la direttiva sulla mobilità sostenibile, enfatizzando il trasporto pubblico e smantellare l’economia dei Suv con normative che garantiscano una produzione di auto a zero emissioni di carbonio”, tasse uguali sui carburanti per aerei e auto, senza esenzioni sull’anidride carbonica, stop ai voli privati e priorità ai treni per viaggi inferiori alle due ore e mezza. Altre proposte puntano in direzione della politica bancaria della Bce: “Tasso basso (0%, o meno) per i prestiti bancari per investimenti che riducono le emissioni di carbonio e creano buoni posti di lavoro, tassi elevati, anche penalizzanti, per prestiti che tagliano posti di lavoro, delocalizzano o aumentano le emissioni inquinanti”.