“Il silenzio non è più un’opzione”. Con questo slogan, in un documento pubblicato online dal titolo “Il ponte insostenibile“, più di duecento tra docenti e lavoratori dell’Università di Messina si sono schierati contro la costruzione del Ponte sullo Stretto: “Riteniamo necessario prendere una posizione netta contro un’opera insostenibile sul piano economico, ambientale, sociale, culturale, giuridico e tecnico”, scrivono i firmatari. Nel testo si citano “i rilievi presentati in sede di procedura di valutazione di impatto ambientale (Via)” e “le osservazioni delle maggiori associazioni ambientaliste del paese, unitamente a quelle dei comitati cittadini No Ponte, che hanno evidenziato numerose lacune nell’attuale progetto definitivo. Ci poniamo in continuità con le numerose iniziative promosse dal coordinamento delle associazioni No Ponte, dal mondo della scuola e dalle altre espressioni della società civile”, dichiarano gli aderenti, finora 215 tra professori associati, ordinari e ricercatori, lettori di lingue straniere e personale tecnico-amministrativo, in rappresentanza di numerose facoltà tra cui Chimica, Ingegneria, Lettere, Scienze Politiche e Medicina. Tra le firme anche quella di Mario Bolognari, professore ordinario di Antropologia e già deputato del Partito comunista italiano e sindaco di Taormina.
Il documento contesta soprattutto “la mancanza di trasparenza” del progetto, come sottolinea Fabio Mostaccio, professore associato di Sociologia politica. I lavoratori dell’ateneo messinese, infatti, chiedono che l’Università diventi il luogo per una discussione pubblica sull’opera, valorizzando “trasparenza dei processi decisionali, etica della condivisione e della consultazione, valutazione della ricerca alla luce della pluralità e dell’interconnessione dei saperi”. “Esiste una consolidata letteratura scientifica ma anche divulgativa e di opinione che ha registrato la negatività dell’impatto del progetto sull’area dello Stretto non solo dal punto di vista tecnico-ambientale, ma anche etico, sociale e di salute pubblica. Si pensi, ad esempio, ai danni materiali e ai disagi psicologici legati agli espropri, come anche alle gravi ricadute sul tessuto sociale e urbanistico di un cantiere stabile per oltre dieci anni”, denunciano i firmatari. Tuttavia, sottolineano, manca “uno spazio aperto che metta a disposizione della cittadinanza i risultati di queste ricerche e le riflessioni che ne derivano, in un’ottica di trasparenza e di condivisione”. Per questo il passo successivo sarà un’assemblea pubblica: “A breve definiremo luogo e data, perché si impone una riflessione aperta sul futuro del nostro territorio”, annuncia Mostaccio.