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Antonino Cannavacciuolo sulle difficoltà della ristorazione: “Gli orari per esempio. Non si può pensare di entrare in servizio alle 11:30 per aprire alle 12. E non solo…”

Lo chef, tornato in tv con Cucine da Incubo, si è raccontato in una lunga intervista al Corriere della Sera

“I primi soldi arrivati dalla tv li ho investiti sulla società, in primo luogo per far stare meglio chi ci lavora: ho rinnovato tutta la cucina di Villa Crespi, l’ho resa una cucina professionale, così come Laqua o il Banco di Cannavacciuolo”. Così Antonino Cannavacciuolo, chef sette stelle e in tv con Cucine da Incubo, si è raccontato al Corriere della Sera. Cosa pensa del format in cui si cerca di migliorare le sorti di ristoranti che hanno diversi problemi in poco tempo? “Io non ho la bacchetta magica: in tre giorni posso cercare di ridare la motivazione che si era persa, far aprire gli occhi sul proprio locale… non accetterei che il lavoro che facciamo sul ristorante non fosse serio, anche parlando del rinnovamento del locale, che non è solo facciata. Ma se dopo tutto questo non cambiano le abitudini, è chiaro che i tre giorni non bastano. Quello che so è che io torno sempre a casa con la coscienza a posto, oltre che distrutto, perché so che ho dato mentalmente e fisicamente tutto quello che avevo”.

Cannavacciuolo si sofferma anche sulle grandi difficoltà della ristorazione: “Il lavoro mentale che c’è dietro. Devo diventare una sorta di coach motivazione è difficile. Nella ristorazione è facile arrivare ma difficile mantenere un certo livello: bisogna trovare stimoli tutti i giorni, è la parte più complessa“. Ma non solo, “gli orari” contano molto: “Non si può pensare di entrare in servizio alle 11.30 per poi aprire alle 12. Già le nonne o le mamme, quando volevano fare qualcosa di buono, iniziavano a cucinare alle 6 del mattino. Ti alzavi e nell’aria già sentivi quel profumo di cipolla… serve quel tipo di amore”. Un padre chef che lo ha fatto entrare presto “in cucine 5 stelle” ma con il quale ancora oggi c’è “un gioco” sulla cucina: “Gli preparo qualcosa e poi gli chiedo ‘allora papà, ho imparato qualcosa?’. Ma lui niente. So che si vanta di suo figlio con gli altri, ma non con me (…) Diciamo che mio padre, a differenza mia, è un grande comunicatore anche senza parlare. Il suo esempio è il mio più grande insegnamento. È stato forse poco presente ma, al tempo stesso, un vortice addosso a me. Mi ha dato tanto, così come a tutta la sua famiglia per farci stare bene. La struttura che gestisco a Vico Equense l’aveva pagata lui: aveva puntato tutto su una attività per me, per suo figlio”.