Dopo 12 giorni dalla presentazione del piano di ridorma della rete dei distributori dei carburanti esplode l’insoddisfazione delle associazioni dei benzinai. “Quella del ministro Urso è una controriforma persino peggiore dell’ormai famigerato cartello del prezzo medio che, nel frattempo, si riduce alle dimensioni di un QR code (pur sempre inutile ma meno dannoso), giusto per provare inutilmente a salvare la faccia”, affermano in una nota Faib, Fegica e Figisc/Anisa. Nella nota si definisce “gravissimo e intollerabile che il provvedimento che doveva finalmente occuparsi dei problemi incancreniti del settore nasconda nella sua pancia una serie di regalie per i furbetti di ogni risma, primi fra tutti i soliti petrolieri“. In pratica “un liberi tutti”.
La proposta di riforma era stata presentata a grandissime linee (solo con alcune slide) in un incontro svoltosi lo scorso 15 maggio al ministero. La prima reazione era stata una sorta di apertura di credito ma, passati i giorni e senza l’articolato da valutare, le indiscrezioni provenienti dai palazzi, hanno peggiorato gli umori. A preoccupare la categoria sono soprattutto le modifiche dei contratti di appalto che non sarebbero più tipizzati ma lasciati alla libera contrattazioni in cui, inevitabilmente, a perderci è la parte debole, ossia i benzinai che devono “trattare” cpon colossi come Eni.
Dalle poche informazioni condivise il 15 maggio era emersa l’intenzione di articolare la riforma su quattro linee guida. La regolamentazione del regime delle autorizzazioni per l’attività di distribuzione dei carburanti; la disciplina dei rapporti contrattuali in tema di gestione degli impianti di distribuzione; la modifica delle disposizioni in materia di indicazione dei prezzi dei carburanti e la razionalizzazione e riconversione della rete distributiva urbana ed extraurbana. Sarebbero infatti circa 8mila gli impianti della rete con quantità di carburanti venduta molto modesta, che hanno poco senso da un punto di vista commerciale e di efficienza. Spesso a impedirne la chiusura sono gli alti costi di bonifica che la dismissione comporta.
I sindacati parlano di “vuoto pneumatico sulla razionalizzazione della rete più pletorica d’Europa: chiuderemo 8mila impianti -dice Urso- 3mila perché sono fuorilegge (ma allora perché sono ancora aperti?) e gli altri 5mila. Come? boh!”. Nella riforma non c’è “niente per accompagnare la transizione energetica: i nuovi impianti dovranno avere un nuovo prodotto non fossile -dice Urso- ma quanti saranno gli impianti nuovi se la rete va ridotta e, comunque, i 15mila che rimangono che faranno? mah, si vedrà”. I sindacati criticano invece i “60mila euro a fondo perduto per i proprietari di ogni impianto che, per chiudere, potrà limitarsi ad una bonifica light, vale a dire gettare nei serbatoi interrati un po’ di sabbia e brecciolino e il gioco è fatto”.