L’Europa, continente da sempre contrario a questo tipo di tecniche, sta aprendo agli Ogm. E lo sta facendo attraverso la deregolamentazione della cosiddette “New Genomic Techniques”, ritenute falsamente meno invasive. Un’aspra denuncia contro questo passaggio è contenuta nel pamphlet Come fermare i nuovi OGM (Terranuova editore), scritto da Stefano Mori, coordinatore del Centro Internazionale Crocevia e Francesco Panié, giornalista ambientale. Questi nuovi Ogm, spiegano i due esperti, potranno arrivare sulla nostre tavole senza più valutazione del rischio, tracciabilità ed etichettatura obbligatorie per legge – così è stato infatti deciso dalla Commissione e poi dal Parlamento europeo a febbraio scorso, manca ancora il parere del Consiglio Ue – in aperta violazione al principio di precauzione e a favore, con tutta evidenza, delle imprese multinazionali e governi conniventi.

Il fallimento degli Ogm

Gli autori ricordano come i tanto sbandierati Ogm, che avrebbero dovuto diminuire la fame nel mondo e creare piante resistenti agli erbicidi, garantendo la riduzione di insetticidi, abbiano fallito su tutti questi fronti. “Il mondo non è sfamato dagli Ogm, che si sono rivelati più che altro un supporto alle filiere biocombustibili e degli allevamenti intensivi”. Le aziende si sono concentrate su soia, mais, colza, patate e banane (in quest’ultimo caso per rallentare la tendenza a scurirsi), ma senza grandi risultati.

Per oltre vent’anni, i promotori degli Ogm sono stati tagliati fuori dal mercato europeo. L’unico modo per introdurre organismi geneticamente modificati è stato, finora, quello di importare mangimi a base di soia o mais per allevamenti industriali, per i quali sono applicate norme diverse. Ma oggi sta emergendo un nuovo messaggio culturale: quello per cui le nuove tecnologie sarebbero una semplice evoluzione della selezione vegetale classica, quella che l’umanità avrebbe fatto per migliaia di anni, ma con “strumenti nuovi che permetterebbero di velocizzare il processo”.

Tutti gli interessi dietro le nuove tecniche

Forti sono gli interessi: in Italia, spiegano gli autori, ci sono le associazioni di categoria, Coldiretti, Cia, Confagricoltura, la Società italiana sementi (Sis) e l’associazione dell’industria sementiera Assomenti. E poi Confindustria, con il suo ramo Assobiotec e il centro di ricerca del ministero dell’Agricoltura, il Crea, destinatario di 8 milioni per testare le Ngt in laboratorio: una commistione pubblico-privato “divenuta ormai consuetudine”. L’Italia ha sempre mostrato apertura alla deregulation, contrariamente a paesi come Austria, Germania, Croazia, Ungheria, Polonia, Romania, Slovacchia, Slovenia; anzi, ricordano Mori e Panié, ha fatto persino un balzo ulteriore, con un emendamento del 2023, votato l’8 giugno, con cui si alleggeriscono le procedure per la sperimentazione dei nuovi Ogm per tutto il 2024, tagliando ogni forma di valutazione del rischio.

Ma di fronte a questa liberalizzazione dei governi dei prodotti dell’editing genomico si levano, per fortuna, le azioni e le protese delle organizzazioni ambientaliste, contadine e dei consumatori, così come di alcune catene di supermercati. Le obiezioni sono molte: funzionamento e struttura del Dna non sono compresi a fondo, ci potrebbero essere effetti indesiderati o inattesi, anche legati a “possibile tossicità o allergenicità”, secondo l’Agenzia francese per la sicurezza sanitaria dell’alimentazione, dell’ambiente e del lavoro (Anses).

Il rischio della contaminazione involontaria

La coltivazione di Ogm non regolamentati, inoltre, rappresenta una minaccia per la vitalità del settore biologico e per le agricolture che hanno fatto del marchio “libero da Ogm” un punto di forza. Infatti, la deregolamentazione delle Ngt fa sì che gli agricoltori non saranno in grado di garantire che i loro prodotti siano liberi dalla contaminazione involontaria di varietà geneticamente manipolate presenti nei dintorni. Il punto infatti è il rischio di biocontaminazione, visto che molte colture dipendono dal vento o dagli insetti per l’impollinazione e la prossimità dei campi può causare il passaggio di materiale genetico da un campo all’altro.

A questo si aggiunge un’altra minaccia, che gli autori denunciano: la possibile abolizione della tracciabilità e della pubblicazione dei processi di identificazione delle modifiche genetiche operate in laboratorio. Ma se la controllabilità dei processi naturali è stata abbandonata, non è così per la brevettabilità delle forme viventi che contengano la sequenza geneticamente modificata, quand’anche fossero sequenze già esistenti in piante già coltivate nei campi.

Più brevetti, più costi per i contadini

E infatti, al primo semestre nel 2023 sono già 970 le domande di brevetto europeo sulle Ngt, di cui 510 già approvate e 460 in attesa di approvazione. Le grandi corporation che detengono la stragrande maggioranza del mercato sementiero mondiale (62%) sono Bayer, Monsanto, BASF, Corteva e Syngenta e il rischio di una concentrazione del mercato in Europa è reale, visto che nel nostro continente il settore sementiero è popolato da circa 7.000 aziende di piccola taglia e la maggior parte degli stati non ospita grandi gruppi (di sicuro non l’Italia che dunque non avrebbe alcun interesse ad aprire agli Ogm). Finire sotto l’ala delle multinazionali comporterà un aumento dei costi per i contadini: dal 1990 al 2020 le sementi convenzionali sono aumentate del 120%, mentre quelle di piante con tratti geneticamente modificati del 463%.

Per questo, a livello globale, è nato l’IPC (Comitato Internazionale di Pianificazione per la Sovranità Alimentare), una piattaforma autonoma e autorganizzata dei movimenti sociali che difendono il diritto dei popoli a un cibo sano, prodotto con metodi ecosostenibili, e della sovranità alimentare, nell’interesse delle future generazionali. E per rendere i contadini, e le comunità in cui vivono, pienamente padroni del proprio destino.

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