“Ho trent’anni, sono di un paesino della provincia, mio padre è minacciato dai mafiosi…”.
“Vent’anni, amo una ragazza norvegese, studio Geofisica, sto a Catania…”.
“Laureato antropologo, età trentacinque, organizzo i ragazzi qui al sud…”
“A Palermo facciamo il giorno di Falcone. L’anno scorso è venuta la celere e ci ha menato. Volete contestare i politici? E giù botte”
“A me m’hanno beccata con una scatola di gessetti. Tu sei di quelli che vanno a scrivere sui muri! E via in commissariato”
“A tutte le auto! A tutte le auto! Un lancio di coriandoli segnalato giù al tennis! Convergere sulla zona! Ripetiamo: coriandoli! Gialli, blu, rossi, verdi e anche di altri colori! Intervenire immediatamente!”.
“Non erano cattivi, ma poi mi hanno stretto al collo… beh. solo qualche livido, rilasciato in giornata”.
“Tiralo per le gambe, caricalo sul pulmino!”.
“Non ce l’abbiamo con nessuno, noi, vogliamo solo farvi capire che…”.
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Ecco, questi di ora si chiamano “Ultima generazione”. Ultima di ieri e prima di domani, dicono loro. Suona bene. Noi ci chiamavamo “Peace Movement”, “Ce n’est qu’un debut”, “Movimento Studentesco” e roba del genere. Oppure anche, quaggiù in Sicilia (ma pure a Bologna, Bergamo, Mexico, Atene…) i “Siciliani giovani”. Ci opponevamo alla guerra, cambiavamo la scuola, contestavamo i governi, combattevamo – prima in Sicilia e poi dappertutto – il potere mafioso. Quest’ultima faccenda, la facciamo ancora.
Roba diversa, vedete. Facce leggermente diverse. Capelli, colori, jeans, gonne, orecchini, chitarre, scarpe da tennis. Autostop, Ryanair, Mcdonald, osterie sulla strada. Un caleidoscopio velocissimo, milioni di flash che s’accavallano, visi fermi un istante e poi sovrapposti, scambievoli, cangianti. Ma che cos’hanno in comune? E chi lo sa. Intanto, da buoni giornalisti, fermiamoci su una parola. Quella che hanno – ingenuamente, e saggiamente – scelto loro: “generazione”. Antichissima, arcaica, gonfia per sua natura di avvenire. Generazioni prima, generazioni poi, generazioni che verranno dopo…
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Un momento – interrompono loro –. Fermi tutti. Non è affatto detto – dicono gli adolescenti – che un’altra generazione ci sarà. Fa troppo caldo. Fa troppo freddo. Piove dove non dovrebbe. Dove doveva piovere c’è siccità. In Africa mancava l’acqua. Ora manca in Sicilia. Due apocalissi in un secolo, Auschwitz e Hiroshima. Nel po’ di secolo nuovo, già due guerre fuori controllo. Epidemie medievali, fermate a stento fra i ricchi; e altre che si preparano tranquillamente. Le stragi e i genocidi, giustificate di nuovo. E i generali che parlano, a bassa voce ma attentamente, di armamenti nucleari “controllati”.
Come volete che noi giovani, noi di cui parlate tanto, possiamo arrivare a vivere – come voi, tutto sommato, a fatica avete fatto – una completa generazione? Una vera generazione, nostra, non solo quella concessa avaramente da voi vecchi? E se la nostra fosse davvero l’ultima, l’ultima viva sulla terra e poi non più, solo un pezzo di roccia in mezzo al niente?
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La saggezza dei giovani intuisce tutto ciò. Non ha parole per dirlo, poiché non ce ne sono. Ma reagisce istintivamente e razionalmente. Ad esempio, rifiuta – poiché percepisce benissimo di essere oggetto continuo e implicito di violenza – di usare ai propri fini mezzi violenti. La comunicazione, ritengono i giovani, è più efficace dell’imposizione, e genera meno effetti indesiderati. Questi di “Ultima generazione” – ma non solo loro – hanno portato molto avanti questo concetto e se ne servono anche con una certa abilità.
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“Io? Io sono tolstoiano” ci mormorò una volta, sorridendo, un maestro. Questi ragazzi di ora, senza conoscerlo, l’hanno riconosciuto. Per loro forse è stato più facile che per noi. Noi che abbiamo visto i corpi dei nostri amici per terra, in Sicilia e altrove. Che abbiamo visto le bombe di Capaci, di via D’Amelio, di piazza Fontana, di Bologna. Noi generazioni tormentate, sopravvissute, scacciate, fra sogni umanissimi e orrori. Eppure tutto sommato siamo qui, con questi ragazzi di ora, senza magari capirli fino in fondo eppure comprendendoli profondamente.
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Noi che abbiamo combattuto l’ingiustizia, e non una volta sola ma per quarant’anni, noi che ogni giorno ci mettiamo in marcia per andare a sfidare i mafiosi a casa loro, noi che rispettiamo le leggi ma ne sappiamo anche di superiori, noi siamo al loro fianco, e lo diciamo qua e ora, apertamente.
Con tutto un mondo di dolori, di lotte, di umanità e di speranze che è il nostro mondo, e da oggi è anche il loro.