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Tutto il mondo aspetta la fine politica di Netanyahu. Ma le cose su Gaza cambieranno?

Conto alla rovescia iniziato per il premier israeliano Benjamin Netanyahu. A scandire i giorni è Benny Gantz, ministro del Gabinetto di guerra e leader centrista, nonché principale oppositore: ha chiesto una commissione d’indagine sull’attacco di Hamas del 7 ottobre e sulla guerra a Gaza che ne è seguita. Netanyahu teme l’inchiesta e corre ai ripari, così va a inginocchiarsi a Washington. Il primo ministro di Israele parlerà presto a una sessione congiunta del Congresso, “come forte dimostrazione di supporto per il governo di Tel Aviv nel suo momento di maggiore bisogno”, annuncia lo speaker repubblicano della Camera degli Stati Uniti, Mike Johnson. Con qualche distinguo, Biden ha sempre appoggiato la strategia bellicista di Israele, ma il discorso di Bibi a Capitol Hill – è certo – farà infuriare molti democratici, secondo cui troppe linee rosse sono state impunemente valicate.

La commissione investigativa chiesta da Gantz con l’obiettivo di esaminare tutti gli eventi legati al 7 ottobre, alla guerra e al processo decisionale a livello sia politico che militare conferma la profonda spaccatura al vertice del governo dello stato ebraico, dopo quasi otto mesi e l’uccisione di oltre 35.000 civili palestinesi, di cui due terzi donne e bambini. In sostanza, contro l’uomo che per vendicarsi di Hamas massacra decine di migliaia di innocenti, sta montando la rivolta. Per mesi, generali e ministri in Israele avevano fatto trapelare ai media locali voci secondo cui il governo manca di una strategia coerente (e vincente) a Gaza, soprattutto perché la missione di sconfiggere Hamas è fallita e non sarà mai portata a termine, con conseguenze drammatiche. Adesso siamo al redde rationem.

Ma ci sarà veramente un cambiamento di linea o addirittura un nuovo esecutivo a Tel Aviv? L’accelerazione arriva proprio mentre Netanyahu e il suo ministro della Difesa, Yoav Gallant (dello stesso partito Likud), devono far fronte alla minaccia di un mandato di arresto dalla Corte Penale Internazionale (Cpi), guidata da Karim Khan, con l’accusa di “crimini di guerra e contro l’umanità”. La decisione, che include anche richieste di mandati contro i leader di Hamas Yahya Sinwar, Mohammad Deif e Ismail Haniyeh, ha creato scompiglio a Washington, con i membri repubblicani della Camera già al lavoro su un pacchetto di sanzioni contro la Cpi, su cui il Segretario di Stato Usa Antony Blinken è d’accordo. In Europa, rispetto alla decisione della Cpi, prevale l’incoerenza geopolitica dell’Ue. La Germania ha dichiarato che se la CPI andrà avanti e emetterà i mandati, arresterà il premier israeliano nel caso mettesse piede sul suolo tedesco. La Francia sostiene la CPI nella sua “lotta contro l’impunità” ma poi ha fatto marcia indietro: come per l’Italia (Tajani) “le richieste simultanee di mandato d’arresto non devono creare alcuna equivalenza tra Hamas e Israele”.

La fronda contro Netanyahu non è iniziata con i politici, ma con le Forze di Difesa Israeliane (Idf). In vari briefing fatti trapelare ai quotidiani democratici come Haaretz, The Times of Israel e The Jerusalem Post, alcuni generali hanno accusato il premier di bloccare qualsiasi piano per il “giorno dopo” a Gaza e di “bruciare” i vantaggi acquisiti da Israele nella guerra. “È compito del primo ministro stabilire la strategia”, ha detto uno dei comandanti militari. “Ma quando non c’è strategia, è compito dell’esercito avvertire dei pericoli“. La mancanza di un progetto valido è palese, anche perché Netanyahu non ha mai ceduto alle istanze di chi gli consigliava non di accettare la teoria dei due stati, ma almeno di pensare a un’autorità alternativa per governare la Striscia. Il che ha finito per rafforzare Hamas.

Dopo i militari, i politici. Yoav Gallant, il ministro della Difesa, ha dichiarato pubblicamente che i piani per creare una nuova entità governativa, con una forte rappresentanza palestinese, “non sono stati discussi e, peggio, non è stata proposta alcuna alternativa”. Per Gantz, su cui Biden punta come futuro primo ministro, “decisioni cruciali non sono state prese”, e ha accusato una “piccola minoranza” di “prendere il controllo del timone della nave israeliana guidandola verso gli scogli”. E qui l’annuncio dell’ultimatum: lascerà il gabinetto di guerra se non ci sarà un cambiamento di rotta entro l’8 giugno.

Oltre al previsto discorso al Congresso degli Stati Uniti per cercare ulteriori sponde alla sua tattica guerrafondaia seminatrice di morti e distruzioni, qual è stata la reazione di Bibi? Arroganza e disprezzo, più l’accusa al suo maggior oppositore di promuovere politiche equivalenti “alla fine della guerra e alla sconfitta di Israele”. Se il ministro avrà coraggio fino in fondo, e dopo l’8 giugno il governo di fatto cadrà, i sondaggi suggeriscono che il suo partito “Blu e Bianco” vincerebbe le elezioni, rendendolo il probabile prossimo premier, come vorrebbe Washington. Gantz è popolare e ha il cv adatto per far girare pagina a Tel Aviv: ex militare, è stato capo dell’esercito, vice primo ministro di Israele, ministro della difesa e presidente della Knesset.

Però se Netanyahu fosse davvero deposto, la nuova politica israeliana su Gaza non diventerebbe affatto chiara, anzi prevarrebbero scenari assai complessi. La Casa Bianca vorrebbe al governo della Striscia un’Autorità Palestinese “rivitalizzata” (il che equivale a un difficile e lungo percorso verso un eventuale stato palestinese), ma Gantz (giustamente) è scettico riguardo al presidente dell’AP, lo screditato 88enne Mahmoud Abbas. Biden punta su una nuova autorità che includa i palestinesi ma escluda Hamas, in cui siano presenti americani, europei e arabi, con Israele che manterrebbe una forte presenza tramite l’Idf (occupazione militare permanente?) per presidiare quel martoriato lembo di terra sul Mediterraneo. Questa ipotesi poggerebbe su un accordo a vasto raggio in Medio Oriente sponsorizzato dall’America, ma solo dopo una “normalizzazione” tra Israele e i sauditi, con la benedizione della Giordania.

In ogni caso, se Netanyahu rimane al potere e va avanti inebriato da strategie di guerra e distruzione senza fine, qualsiasi de-escalation e cessate il fuoco restano un miraggio. Ecco perché non solo gli israeliani ma tutto il mondo, senza alcun senso di colpa in merito alle false accuse di antisemitismo, aspetta la fine politica di Bibi e la marginalizzazione dell’estrema destra ipersionista (per radere al suolo Gaza vorrebbero usare la bomba atomica). Israele ha sofferto terribilmente per l’attacco di Hamas del 7 ottobre, è innegabile, ma l’atroce calcolo in stile nazi di oltre 35.000 morti imposti ai palestinesi in rappresaglia per le 1.140 vittime israeliane ha già contaminato per sempre la sua immagine di stato laico e civile nato dopo l’Olocausto.