È ormai una costante che si ripete a ogni vertice europeo sugli aiuti all’Ucraina: 26 Paesi compatti, a diversi livelli, sul sostegno economico e militare a Kiev e uno solo che si oppone. Anche quello di lunedì non ha fatto eccezione, così l’Ungheria di Viktor Orban ha annunciato il suo veto sul nuovo pacchetto di sanzioni Ue, come comunicato dal ministro degli Esteri Péter Szijjártó. Il capo della diplomazia di Budapest ha spiegato che “nella sua forma attuale (il pacchetto, ndr) è assolutamente contrario agli interessi economici dell’Ungheria” e “metterebbe a rischio la sicurezza dell’approvvigionamento energetico del Paese” a causa di proposte che contengono “elementi che rallenterebbero gli investimenti nella centrale nucleare di Paks” e che “potrebbero essere fatali per l’agricoltura e l’industria alimentare ungherese”.

Fonti vicine ai colloqui parlano di un confronto aspro nella sala del Consiglio, con il ministro ungherese che ha dovuto tenere il punto nonostante le pressioni degli omologhi europei. “La posizione ungherese sta diventando apertamente pro-russa, non si può più parlare di approccio transazionale”, spiega una fonte. Mentre il ministro Szijjártó parla di “una grande bagarre. I colleghi tedeschi, lituani, irlandesi, polacchi e di altre nazionalità si sono scagliati contro di me, ma la nostra posizione non ha potuto essere influenzata, nonostante le grida dei politici europei favorevoli alla guerra”. Szijjártó ha aggiunto che, poiché il rischio di escalation è più grande che mai, la strategia dell’Ue nei confronti della guerra in Ucraina deve essere ripensata: “Spetta al popolo ungherese ed europeo porre fine all’atmosfera di guerra il 9 giugno e far capire che i popoli europei vogliono la pace. Cosa pensiamo di noi stessi? Come osiamo fare questo? Cosa succederà sotto la nostra presidenza?”, sono le domande che dice di aver rivolto ai colleghi.

Nei giorni scorsi, l’Ue ha trovato l’accordo sull’uso degli asset russi congelati con la creazione di un Fondo di assistenza a Kiev all’interno dello European Peace Facility. Al Fondo di assistenza, dedicato agli aiuti militari, l’Ue aveva concordato di destinare poco meno di 8 miliardi. Viktor Orban era stato convinto a dare il placet all’accordo di principio con la promessa di non dover contribuire al riutilizzo degli asset per le forniture militari all’Ucraina. Ma Budapest ha bocciato il trasferimento delle risorse dall’European Peace Facility a Kiev. E il veto ungherese permane anche sull’erogazione dell’ottava tranche.

A niente è servito l’appello del ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, che ha chiesto “un intervento rapido e di forte sostegno militare” a Kiev in videocollegamento mostrando ai ministri Ue la foto di un ragazzino il cui padre è stato ucciso nell’attacco russo che nel fine settimana ha colpito un centro commerciale a Kharkiv. Numerosi gli annunci di sostegno: dal capo del governo spagnolo, Pedro Sanchez, che ha parlato di “aiuti all’Ucraina per oltre 1 miliardo di euro nel 2024″ da parte della Spagna, ad Antonio Tajani che ha ribadito la propria “posizione contro il blocco, vogliamo avanzare”.

La Lituania si scaglia contro l’ostruzionismo di Budapest, affermando con il proprio ministro Gabrielius Landsbergis che “la European Peace Facility è bloccata, i colloqui di adesione dell’Ucraina sono presi in ostaggio dall’Ungheria. E potrei continuare. Praticamente quasi tutte le soluzioni e decisioni dell’Ue sono bloccate da un solo Paese. Dobbiamo cominciare a vederlo come un approccio sistematico da parte di un solo Paese contro ogni sforzo dell’Ue di avere un ruolo significativo in politica estera. Non è caso per caso – prosegue – dobbiamo iniziare a parlarne. So che in alcuni casi può apparire come una cosa poco diplomatica da fare, perché siamo persone gentili ed educate, ma penso che questa cosa sia andata troppo avanti”. E anche Berlino sollecita Budapest a togliere il veto: “Abbiamo bisogno di tutte le voci per il popolo ucraino. Ed è per questo che lancio un appello urgente all’Ungheria affinché renda finalmente possibile il sostegno” europeo “all’Ucraina per garantire la pace. L’Europa è forte quando è unita”.

L’unanimità è stata invece trovata per l’approvazione del cosiddetto pacchetto di sanzioni ‘Navalny’ per punire la repressione dei diritti umani e della libertà di espressione in Russia. Sulla lista delle sanzioni, secondo quanto riferito dal ministero degli Esteri della Repubblica Ceca, si trovano tra gli altri anche la testata propagandistica filo-russa Voice of Europe e due oligarchi ucraini a essa collegati, Viktor Medvedchuk e Artem Marchevskyi, considerati nel cerchio magico di Vladimir Putin.

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