Mondo

Il doppio standard Usa verso la Corte penale internazionale: qui sta la sua vocazione egemonica

di Stefano Briganti

“Io ho visto degli orrori, orrori che ha visto anche lei… E’ impossibile trovare le parole per descrivere ciò che è necessario a coloro che non sanno ciò che significa l’orrore. L’orrore ha un volto”. Così dice il colonnello Kurtz nel film Apocalypse Now, parlando della guerra in Vietnam. Si potrebbe anche leggere il diario di Tanya Savicheva sugli orrori dell’assedio di Leningrado da parte dell’esercito tedesco e durato due anni e mezzo. La guerra è orrore. Fu dopo la seconda guerra mondiale, che vide l’uso delle prime bombe nucleari e che costò decine di milioni di morti al continente europeo, che il mondo decise di dotarsi di strumenti per impedire il ripetersi di tali orrori.

Nacquero l’Onu, il Consiglio di Sicurezza e i tribunali internazionali dell’Aja. La guerra è però un orrore inestirpabile dall’animo degli uomini che la usano per esercitare o aumentare il proprio potere e così i legislatori, consci che le guerre non sarebbero mai scomparse, stabilirono delle regole e posero dei criteri di “umanità” agli orrori nelle guerre. La Corte Penale Internazionale è un organismo il cui giudizio è riconosciuto da 124 Stati e non riconosciuto da altri tra cui Cina, Russia, Usa, Israele.

Gli Usa hanno anche un “American Service-Members’ Protection Act” che vieta a qualunque paese di mettere sotto processo e in arresto militari Usa, che possono essere giudicati per le loro azioni solo dall’America. La Corte si è pronunciata negli ultimi trent’anni su casi di crimini di guerra in Serbia, in Congo e recentemente in Ucraina, in Israele e in Palestina. Le motivazioni del mandato di arresto per Putin sono legate alla deportazione di 19.000 bambini ucraini in Russia durante il conflitto russo-ucraino. Tutto il mondo occidentale ha applaudito alla sentenza e tutti coloro che riconoscono la Corte si sono giustamente detti pronti ad arrestare Putin nel caso dovesse mettere piede nei loro paesi.

Il pronunciamento della Corte su Israele e Palestina ha invece generato critiche da parte dei leader occidentali. Immediatamente è rimbalzato sui mass media il giudizio di Israele e degli Usa di una “equiparazione tra uno stato democratico e un’organizzazione terroristica” per contestare la condanna ai leaders di Israele. Ma tale equiparazione non c’è, sia per le motivazioni delle due richieste di condanna sia perché per la Corte Internazionale, essendo un tribunale, vale “la legge è uguale per tutti” sia a occidente che a oriente. Le motivazioni dei due pronunciamenti sono diverse. Nel caso di Hamas riguardano il massacro feroce di israeliani negli attacchi del 7 ottobre 2023 e del sequestro di ostaggi. Nel caso di Israele invece si condanna la spropositata reazione all’aggressione, l’uccisione mirata di civili (35.500), donne e bambini (13.700), l’uso della fame, della sete e della denutrizione come armi e l’impedimento di distribuzione di aiuti umanitari.

Il procuratore della Corte ha ben chiarito che il suo compito è quello di verificare ed eventualmente condannare chiunque si macchi di crimini di guerra, a prescindere dal fatto che si tratti del capo di uno Stato democratico, autocratico o di una organizzazione terroristica. Le reazioni degli Usa e dell’occidente rispetto alle due condanne, di Putin e di Netanyahu, evidenziano senza ombre l’uso di disgustosi doppi standard legati a necessità e interessi geopolitici. Ma non basta ancora, perché il Congresso degli Stati Uniti sta valutando di applicare delle sanzioni alla Corte Penale Internazionale e al suo procuratore per le sentenze emesse, evidentemente sgradite a Washington.

Il fatto che il Congresso Usa infligga una sanzione ad un tribunale internazionale per una sentenza e lo lodi invece per un altra significa che Washington si pone a giudice dell’operato di quel tribunale, condannandolo o assolvendolo a sua discrezione. Questo ben illustra la vocazione egemonica e autoreferenziale degli Stati Uniti e la sudditanza dei suoi “allies and partners” che non la mettono in discussione.

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