Un Papa non parla come una vignetta di Charlie Hebdo. L’asciutto commento di un fedele d’Oltralpe esprime icasticamente lo sconcerto e la repulsione che hanno preso alla sprovvista l’opinione pubblica di fronte alla battuta di Francesco sul tema dell’accoglienza degli omosessuali in seminario. Buttare là, senza pensare, il termine “frociaggine” rischia di essere un colpo durissimo al prestigio di Jorge Mario Bergoglio. Un pontefice non parla così. Né in pubblico né in privato. Qualunque sia la sua visione. Che sia conservatore o moderato o riformatore.

E’ specialmente la stampa internazionale a rimanere allibita. E lo si coglie dalle parole attentamente soppesate per descrivere l’episodio. Scrive il giornale francese Figaro, moderato, che il pontefice ha impiegato un termine considerato in Italia “volgare e insultante”. Scrive l’inglese Guardian che a quanto si apprende il pontefice ha usato un “epiteto offensivo e calunnioso”. Religioso o non religioso, l’ambiente mediatico internazionale, in fondo, continua a guardare nonostante tutto al Vaticano come ad una “santa sede”, un trono dove siede un sovrano erede di una antica e venerata tradizione.

La palese difficoltà, l’intorcigliarsi delle parole introduttive con cui un direttore televisivo veterano come Enrico Mentana ha faticato lunedì sera a riferire i termini esatti pronunciati dal Papa, rivela l’enormità dell’accaduto. La versione-cerotto, messa in circolazione da anime pie secondo cui Francesco alla fin fine non padroneggia bene l’italiano, non convince nessuno. Soprattutto negli ambienti cattolici, credenti e non credenti, dove l’ammirazione per Francesco in questo trascorso decennio è stata costante e profonda, la reazione è stata devastante. Incredula, sgomenta e rattristata.

Ancora peggio – per Francesco – è il plauso ironico che gli viene dagli ambienti di destra, che non hanno mai amato Francesco, che hanno sempre mal sopportato la sua apertura nei confronti della vita degli omosessuali: ora da questi ambienti malmostosi sale un’onda di soddisfazione perché le parole del pontefice possono essere utilizzate per l’omofobia più meschina e volgare.

Domani l’episodio sarà forse dimenticato, il mondo mediatico gira velocissimamente, ma il corpo secolare della Chiesa, benché attraversato da molteplici crepe, non dimentica facilmente e non accetta con leggerezza qualcosa che colpisce direttamente quella certa aura di prestigio che il ruolo di sommo pontefice conserva sulla scena internazionale.

Ventiquattr’ore dopo la bufera scatenatasi in tutto l’orbe mediatico sono arrivate le scuse ufficiali. Papa Francesco, ha detto il portavoce del Vaticano Matteo Bruni, è al corrente degli articoli sulla sua conversazione, a porte chiuse, con i vescovi della Cei. Come ha avuto modo di affermare in più occasioni “nella Chiesa c’è spazio per tutti, per tutti! Nessuno è inutile, nessuno è superfluo, c’è spazio per tutti. Così come siamo, tutti”. La nota del portavoce aggiunge quindi: “Il Papa non ha mai inteso offendere o esprimersi in termini omofobi, e rivolge le sue scuse a coloro che si sono sentiti offesi per l’uso di un termine, riferito da altri”.

A dire il vero, secondo alcune ricostruzioni, il pontefice già durante l’incontro con i vescovi avrebbe soggiunto che le sue riflessioni non andavano intese come un attacco omofobico. Resta, tuttavia, che l’episodio ha avuto un impatto drammatico. Proprio l’unico pontefice che anno per anno è maggiormente andato incontro al mondo gay, sottolineando la dignità degli omosessuali, la loro parità tra gli altri credenti, il loro diritto a “vivere in famiglia” e anche a essere benedetti con il loro partner (seppure oggi ancora in modo tortuoso), proprio questo papa che passerà alla storia come il più favorevole all’esistenza gay, come è possibile che sia scivolato su un termine popolaresco così insopportabile?

Il pastore, con un’attenzione all’odore delle pecore (l’opinione pubblica) di cui ha già dato prova in parecchie occasioni, ha alla fine avuto il coraggio di scusarsi pubblicamente. Non sappiamo cosa sia successo in Vaticano a porte chiuse in queste ventiquattr’ore. Probabilmente c’è stato chi ha avuto la forza di dire al pontefice che certe cose non si dicono o non si fanno. L’episodio tuttavia ha messo in luce una contraddizione che si sta manifestando in questa fase finale del pontificato: Bergoglio è convinto della necessità di una Chiesa sinodale, ma nel piglio di governo cede ogni tanto ad un’antica tentazione, che aveva da superiore dei gesuiti in Argentina: pensare di dire o fare “come dico io” e basta. Intanto c’è una ferita da risanare.

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