La prima cosa che ho pensato quando ho letto gli articoli in cui si riportavano le parole del pontefice sui seminaristi gay è stata: “Ma questo è Lercio!”. Salvo poi scoprire, tra stupore e un amaro sorriso, che la notizia era vera. Per Bergoglio “c’è troppa frociaggine” nei seminari. Da qui, il suo niet a introdurre futuri sacerdoti omosessuali.
La notizia non mi stupisce per il suo portato omofobo. La Chiesa cattolica è tra le forze che da sempre si sono opposte ai diritti (e quindi alla felicità e alla dignità) delle persone Lgbtqia+: basta andare a leggere l’attuale catechismo, in merito. Il papa non fa certo eccezione. Nonostante i titoli trionfalistici della stampa, che ha sempre parlato di “aperture” in Vaticano, certe dichiarazioni non hanno nulla di diverso rispetto alla dottrina cattolica sull’omosessualità.
Per quella visione confessionale siamo un errore nel disegno divino. Alla meglio, ci è concesso di non subire violenza fisica e verbale, ma per il resto possiamo subire trattamenti differenziati. Si parla infatti di “ingiuste discriminazioni”, locuzione apparentemente illuminata che però ammette che possano esserci discriminazioni accettabili, quindi “giuste”. Tra queste ultime: non potersi sposare, non poter adottare, non poter parlare di lotta al bullismo omotransfobico nelle scuole (se dici che non si picchiano i gay in un liceo sarebbe “gender”, per le menti più preistoriche). Tutti ambiti fieramente rivendicati dalla chiesa ufficiale e dall’attuale pontefice.
La notizia stupisce per un altro aspetto: il lessico utilizzato. “Frociaggine” è un sostantivo non presente nei dizionari, di uso gergale di tipo estensivo, limitato a una cerchia ristretta, quella della comunità arcobaleno. La domanda è dunque: come fa a conoscere questo termine Bergoglio? La seconda: come mai l’ha usata in un contesto che, per quanto informale (come si legge qua e là), è comunque attinente a un contesto ufficiale? Le risposte a questi interrogativi potrebbero essere interessanti.
Il sorriso amaro, di quel sapore “umoristico” di tipo pirandelliano, emerge quando dopo la percezione del contrario (il papa che usa un termine improprio ci espone al riso), subentra il sentimento del contrario. Faccio un esempio, per chiarire meglio questo punto. Stamane, mentre osservavo la rassegna stampa mattutina in tv, ho notato un certo imbarazzo tra i giornalisti a pronunciare quel termine durante la lettura dei titoli. È una parola che evidentemente fa rumore.
Facciamo un esercizio di immaginazione: pensiamo a quanto rumore può fare, a livello interiore in primis, il relativo insulto quando si deposita sulla vita dell’adolescente, tra aule e corridoi scolastici. Forse bisognerebbe imbarazzarsi di più per situazioni come questa, che sono molte in quei luoghi che dovrebbero essere spazi sicuri e che invece sono teatri di discriminazioni e persecuzione. Immaginiamoci lo stato d’animo di quelle persone credenti e omosessuali che si saranno sentite ancora una volta fuori luogo rispetto a un’istituzione che dovrebbe comprenderli, ma che le tratta da problemi da evitare. Se la parola usata ci provoca ilarità, la verità che nasconde dietro racconta ancora una volta la narrazione lesiva contro una fetta di popolazione che viene vista come sbagliata per cause religiose.
Concludo con un’ulteriore considerazione: avendo il dono di non avere una fede, quelle parole non mi toccano, perché non riguardano la mia vita in alcun modo. Da un punto di vista più ampio, che investe i rapporti sociali su vasta scala, quella frase offende e ferisce una grande quantità di persone. Sia chi crede, sia chi non crede. Perché se la massima autorità religiosa può permettersi di escludere una categoria di persone in virtù dell’orientamento sessuale, perché poi non dovrebbero farlo – per emulazione – palestre, negozi, bar, ecc, nella scelta del personale o della clientela? (E mi si permetta un ultimo inciso: qual è l’importanza dell’orientamento sessuale per una “professione” che non ammette l’esercizio della sessualità in alcun modo? E perché un orientamento è accettabile e un altro no?).
Quando si rappresenta una vasta comunità, si dovrebbe fare attenzione alle parole usate. Perché possono essere discriminatorie e far male. E perché possono fare “scuola” e quindi autorizzare a far del male. E anche se dalla Chiesa cattolica non ci possiamo aspettare nulla di diverso, non è una buona ragione per continuare a discriminare e a usare termini offensivi.
Dario Accolla
Attivista e scrittore
Società - 28 Maggio 2024
La frase del Papa non mi stupisce per l’omofobia, ma perché può fare scuola
La prima cosa che ho pensato quando ho letto gli articoli in cui si riportavano le parole del pontefice sui seminaristi gay è stata: “Ma questo è Lercio!”. Salvo poi scoprire, tra stupore e un amaro sorriso, che la notizia era vera. Per Bergoglio “c’è troppa frociaggine” nei seminari. Da qui, il suo niet a introdurre futuri sacerdoti omosessuali.
La notizia non mi stupisce per il suo portato omofobo. La Chiesa cattolica è tra le forze che da sempre si sono opposte ai diritti (e quindi alla felicità e alla dignità) delle persone Lgbtqia+: basta andare a leggere l’attuale catechismo, in merito. Il papa non fa certo eccezione. Nonostante i titoli trionfalistici della stampa, che ha sempre parlato di “aperture” in Vaticano, certe dichiarazioni non hanno nulla di diverso rispetto alla dottrina cattolica sull’omosessualità.
Per quella visione confessionale siamo un errore nel disegno divino. Alla meglio, ci è concesso di non subire violenza fisica e verbale, ma per il resto possiamo subire trattamenti differenziati. Si parla infatti di “ingiuste discriminazioni”, locuzione apparentemente illuminata che però ammette che possano esserci discriminazioni accettabili, quindi “giuste”. Tra queste ultime: non potersi sposare, non poter adottare, non poter parlare di lotta al bullismo omotransfobico nelle scuole (se dici che non si picchiano i gay in un liceo sarebbe “gender”, per le menti più preistoriche). Tutti ambiti fieramente rivendicati dalla chiesa ufficiale e dall’attuale pontefice.
La notizia stupisce per un altro aspetto: il lessico utilizzato. “Frociaggine” è un sostantivo non presente nei dizionari, di uso gergale di tipo estensivo, limitato a una cerchia ristretta, quella della comunità arcobaleno. La domanda è dunque: come fa a conoscere questo termine Bergoglio? La seconda: come mai l’ha usata in un contesto che, per quanto informale (come si legge qua e là), è comunque attinente a un contesto ufficiale? Le risposte a questi interrogativi potrebbero essere interessanti.
Il sorriso amaro, di quel sapore “umoristico” di tipo pirandelliano, emerge quando dopo la percezione del contrario (il papa che usa un termine improprio ci espone al riso), subentra il sentimento del contrario. Faccio un esempio, per chiarire meglio questo punto. Stamane, mentre osservavo la rassegna stampa mattutina in tv, ho notato un certo imbarazzo tra i giornalisti a pronunciare quel termine durante la lettura dei titoli. È una parola che evidentemente fa rumore.
Facciamo un esercizio di immaginazione: pensiamo a quanto rumore può fare, a livello interiore in primis, il relativo insulto quando si deposita sulla vita dell’adolescente, tra aule e corridoi scolastici. Forse bisognerebbe imbarazzarsi di più per situazioni come questa, che sono molte in quei luoghi che dovrebbero essere spazi sicuri e che invece sono teatri di discriminazioni e persecuzione. Immaginiamoci lo stato d’animo di quelle persone credenti e omosessuali che si saranno sentite ancora una volta fuori luogo rispetto a un’istituzione che dovrebbe comprenderli, ma che le tratta da problemi da evitare. Se la parola usata ci provoca ilarità, la verità che nasconde dietro racconta ancora una volta la narrazione lesiva contro una fetta di popolazione che viene vista come sbagliata per cause religiose.
Concludo con un’ulteriore considerazione: avendo il dono di non avere una fede, quelle parole non mi toccano, perché non riguardano la mia vita in alcun modo. Da un punto di vista più ampio, che investe i rapporti sociali su vasta scala, quella frase offende e ferisce una grande quantità di persone. Sia chi crede, sia chi non crede. Perché se la massima autorità religiosa può permettersi di escludere una categoria di persone in virtù dell’orientamento sessuale, perché poi non dovrebbero farlo – per emulazione – palestre, negozi, bar, ecc, nella scelta del personale o della clientela? (E mi si permetta un ultimo inciso: qual è l’importanza dell’orientamento sessuale per una “professione” che non ammette l’esercizio della sessualità in alcun modo? E perché un orientamento è accettabile e un altro no?).
Quando si rappresenta una vasta comunità, si dovrebbe fare attenzione alle parole usate. Perché possono essere discriminatorie e far male. E perché possono fare “scuola” e quindi autorizzare a far del male. E anche se dalla Chiesa cattolica non ci possiamo aspettare nulla di diverso, non è una buona ragione per continuare a discriminare e a usare termini offensivi.
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Roma, 19 mar. (Adnkronos) - "Si tratta di garantire la sicurezza dell'intera Unione europea. C'è bisogno di rafforzare la sicurezza europea ma questo non significa essere guerrafondai. Per garantire la pace serve un equilibrio delle forze in campo per garantire la sicurezza dell'Europa e dell'Italia. Stiamo lavorando in questa direzione come un buon padre di famiglia che mette le finestre blindate perchè la sua famiglia sia al sicuro". Lo dice il vicepremier Antonio Tajani a 5 Minuti su Raiuno. "Bisogna avere il coraggio di andare avanti: l'Europa è l'unico modo per essere sicuri".
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