Il 25 maggio a Napoli in 50mila hanno attraversato la città, scandendo forte e chiaro il proprio no all’Autonomia Differenziata, che verrà votata alla Camera immediatamente dopo le elezioni europee. Lo hanno fatto dal palco in particolare i costituzionalisti Azzariti e Villone, la portavoce dei comitati e del Tavolo NOAD Boscaino e Landini, segretario della Cgil, concludendo la manifestazione della Via Maestra.

Nel frattempo, leggevamo con sconcerto dal sito della Presidenza del Consiglio alcune dichiarazioni del ministro Calderoli, in merito alla pubblicazione di una nota dell’Episcopato Italiano che avversa, coerentemente con quanto la Cei sta dichiarando da molto tempo, l’Autonomia Differenziata. Il ministro esprime il proprio stupore per la pubblicazione del documento che riporta “dichiarazioni senza aver avuto occasione di dialogare con la Cei, nonostante delle interlocuzioni fossero già state avviate e avessimo dato la nostra ampia disponibilità ad un confronto nel merito e sui contenuti”.

Rivela, poi, di essersi reso disponibile per favorire un incontro dei “Governatori” (sic!) con il Pontefice e un eventuale confronto sulla riforma. Sottolinea che 14 delle 15 regioni a statuto ordinario hanno mosso “passi ufficiali in favore dell’autonomia e che le 5 regioni a statuto speciale hanno chiesto maggiori forme e condizioni di autonomia, attraverso la revisione degli Statuti”. Rivendica la propria disponibilità a discutere l’autonomia differenziata con il cardinal Zuppi, organizzando in tal senso un paio di incontri, sfumati senza aver ricevuto alcuna comunicazione. “Non ci è stata data alcuna risposta […], ma proprio per questo restiamo ancor più stupiti di questa presa di posizione, già annunciata come negativa, senza nemmeno averci incontrato. Da tutti ci si poteva aspettare un pregiudizio politico e spiace che l’abbia assunto la Cei, peraltro a pochi giorni dal voto”.

Che l’abilissimo creatore del Porcellum accusi di pregiudizio la Conferenza Episcopale Italiana è un fatto che fa riflettere. L’autonomia disgrega l’unità del Paese, aumenta a dismisura le diseguaglianze. La Cei lo afferma da anni – con gli interventi del cardinal Zuppi, di Monsignor Savino, dei vescovi calabresi e siciliani, dei vescovi delle aree interne (dopo anni di dichiarazioni, serve davvero fare degli incontri per sapere cosa pensa la Cei?); e non può stupire, dal momento che si tratta di una de-forma che mira alla secessione dei ricchi, mossi dall’egoismo proprietario, dalla avidità, dall’annullamento di qualsiasi principio di uguaglianza e di solidarietà: a predominare è la logica del profitto, della privatizzazione che condanna i meno abbienti. Come potrebbe essere il contrario?

C’è di più: la Cei non è isolata. Con lei istituzioni internazionali – si pensi alla Commissione Europea, che nel maggio dello scorso anno (Documento di lavoro dei servizi della Commissione, Relazione per Paese 2023 – Italia,{COM(2023) 612 final}, Bruxelles, 24.5.2023, p. 19) ha affermato: “Nel complesso, la riforma prevista dalla nuova legge quadro rischia di compromettere la capacità delle amministrazioni pubbliche di gestire la spesa pubblica, con un conseguente possibile impatto negativo sulla qualità delle finanze pubbliche dell’Italia e sulle disparità regionali” – e nazionali, come l’Ufficio Parlamentare di Bilancio, che in due studi specifici ha sottolineato l’aumento delle diseguaglianze che deriveranno dall’applicazione dell’autonomia differenziata.

La Corte dei Conti ne ha più volte segnalato i rischi, dalla propria prospettiva. La Banca d’Italia è intervenuta a varie riprese, tra cui la lettera del governatore Visco, alla fine del proprio mandato, rivolta alla Commissione per la Definizione dei Livelli Essenziali di Prestazione, presieduta dal prof. Cassese. Si aggiunge la Confindustria del Sud, che si è diverse volte espressa criticamente, da ultimo in audizione alla Camera dei Deputati con l’Unione industriale Napoli (“[…] Ipotizzare il trasferimento di competenze commisurando l’attribuzione di nuove risorse alle Regioni sulla base del criterio della spesa storica equivale a disconoscere l’esigenza indifferibile di porre rimedio a guasti sociali e territoriali provocati dall’incompleta attuazione del Titolo V”). Nel complesso, le audizioni hanno fatto registrare una netta prevalenza dei no al provvedimento. Il ministro Calderoli ha dunque sentito, ma non ha ascoltato.

Il fatto poi che quasi tutte le regioni si siano mosse per iniziare procedure che consentano loro l’acquisizione di potestà legislativa esclusiva su un pacchetto di materie fino a 23 (tra cui istruzione, sanità, infrastrutture, ambiente) la dice lunga sulla presunta vicinanza della regione ai cittadini e alle cittadine, dato che i governatori non vogliono che accrescere il proprio potere personale.

Quanto i potentati locali siano in grado e interessati ad accogliere e interpretare la volontà popolare lo indica perfettamente lo studio che Demopolis e Fondazione per il Sud hanno pubblicato il 21 maggio, da cui si evince che l’Italia non è uguale per tutti: non lo è nelle prestazioni del welfare, né sul piano sociale ed economico. Il 70% dei residenti nel Nord promuove i servizi pubblici nel proprio territorio, il dato si riduce al 39% nel Sud e nelle Isole, dove il 61% dei cittadini è del tutto insoddisfatto. Per quanto riguarda l’autonomia differenziata, per più di 1 italiano su 2 al Nord è una misura “necessaria e urgente” (solo il 14% al Sud). Per il 66% degli italiani che vivono al Nord l’attuazione dell’autonomia differenziata è una misura positiva, radicalmente contrari gli abitanti del Sud, che con l’81% ne vedono negativamente l’attuazione. Quanto il ministro Calderoli – quello che si autodefinisce Caterpillar – tenga conto di questa enormità di dati, cui si aggiungono Istat, Svimez, Eurispes che confermano le previsioni più fosche, sembra evidente. Quanta propaganda e impudenza ci siano nella accusa alla Cei di pregiudizio, altrettanto.

Se difendere i principi della Costituzione è “fare politica”, ben venga che la Conferenza Episcopale faccia politica. Ribadisco: il ministro Calderoli è tanto pronto a sentire, quanto sordo ad ascoltare. Anche nella sua reazione al comunicato della Cei si avverte l’indisponibilità ad ascoltare la voce dei Vescovi; il suo progetto è di riguadagnare i voti di chi al Nord ha in mente solo la difesa dei propri ricavi e profitti e vuole utilizzare i soldi pubblici per le proprie imprese, a scapito dei servizi pubblici e dei diritti sociali delle persone.

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