Le palazzine di via Montefiorino a Sorbolo, in provincia di Parma, ospitano buona parte delle centinaia di appartamenti sequestrati alla ‘ndrangheta nel processo Aemilia. Oggi alcuni di quei locali danno un tetto a famiglie in difficoltà economica, in particolare donne e bambini ucraini fuggiti dalla guerra. Altri, gli appartamenti che nel 2018 erano destinati ai Finanzieri dell’Emilia Romagna, saranno invece utilizzati dall’Università di Parma ad uso foresteria per studenti, con affitti agevolati, e dal Comune di Sorbolo per offrire un tetto a persone bisognose.

È il lieto fine di una vicenda paradossale, che ilfattoquotidiano.it ha raccontato, puntando i riflettori sul tema dei beni strappati alle mafie. Appartamenti, immobili, uffici, società, attività economiche e commerciali, per un valore attuale di decine di miliardi di euro, sulla carta a disposizione dell’Agenzia nazionale dei beni confiscati e sequestrati alle mafie, ma in realtà spesso bloccati e inutilizzabili a causa di procedure infinite e mancanza di capacità progettuale sul futuro.

A Sorbolo cinque anni e mezzo fa il ministro dell’Interno Matteo Salvini disse: “Sono orgoglioso di consegnare i beni confiscati alla mafia”. Ma in quegli appartamenti al numero 2 di via Montefiorino la Guardia di Finanza non ci ha mai messo piede perché per renderli abitabili servivano interventi costosi sugli interni ancora grezzi. Spese che il Corpo di Polizia non poteva sobbarcarsi prima della confisca definitiva dei beni, ancora vincolati dalle procedure giudiziarie sulla “buona fede” dei creditori. L’amministratore giudiziario dell’enorme patrimonio confiscato alla ‘ndrangheta in Emilia Romagna, Rosario Di Legami (nella foto ndr), ha così tirato fuori dal cilindro un nuovo accordo con l’Università di Parma, il cui direttore generale Caldeloro Bellantoni ha garantito la copertura finanziaria per le ristrutturazioni necessarie a completare gli appartamenti dove abiteranno studenti meritevoli a prezzi calmierati. Quindici minuti di treno dividono il piccolo paese sulle rive dell’Enza dalla città ducale: una passeggiata se bilanciata ai benefici economici per gli studenti fuori sede costretti normalmente a pagare affitti astronomici per un posto letto. Altri appartamenti di quelle palazzine in via Montefiorino saranno invece utilizzati dal Comune di Sorbolo, a sua volta protagonista del nuovo accordo, per finalità sociali di aiuto a famiglie deboli.

Ma perché è così difficile, e solo dopo tempi biblici, portare a buon fine il riutilizzo dei beni confiscati alle mafie? Lo chiediamo proprio all’amministratore giudiziario Di Legami, uno dei più competenti a livello nazionale. “Per la mia esperienza tale criticità deriva da una normativa inadeguata, che non permette il raggiungimento dei risultati auspicati. In primo luogo si dovrebbe potenziare l’organico della Agenzia nazionale, per rendere più celere tutta la procedura di autorizzazione”, spiega. A proposito della carenza di dipendenti, gli ultimi Governi hanno parlato di cinquanta/cento nuove assunzioni. “Ma si tratta di promesse non mantenute e gli attuali 50 operatori dell’Anbsc sono assolutamente insufficienti”, replica l’amministratore. Ovviamente i problemi dell’Agenzia non sono legati soltanto all’organico. “Ci sono altre criticità – spiega Di Legami – Si dovrebbe sburocratizzare il procedimento che porta alla assegnazione del patrimonio, modificando ad esempio la farraginosa procedura per il pagamento dei creditori che allunga a dismisura i tempi della confisca. Gli appartamenti di Sorbolo sono un esempio: dobbiamo attendere il terzo grado di giudizio per la verifica dei crediti vantati da banche, enti locali ed erario”. Ma non solo. “C’è anche un altro problema, non meno decisivo – continua l’amministratore – Manca la progettualità. È necessario fare rete, mettere assieme il miglior associazionismo sindacale, sociale, universitario e industriale. Per valorizzare gli immobili e le imprese confiscate, per renderle appetibili sul mercato, servono idee. Ma serve anche la consapevolezza che spendere ‘due’ per acquisire un bene che vale ‘dieci’, è un affare”. Nell’ultimo periodo, tra l’altro, dal fronte parlamentare sono arrivate proposte di modifica dell’attuale sistema delle misure di prevenzione. “Io – commenta Di Legami – faccio mie le parole del Procuratore di Palermo Maurizio De Lucia: la legislazione antimafia è un punto fermo nel contrasto alla criminalità economica, e su questo ritengo che non si debba arretrare di un millimetro. Ciò non toglie però che debba essere migliorata la normativa. Per individuare i beni da sequestrare, basterebbe richiamare le direttive dell’Onu che prevedono a monte un più rigido congelamento dei patrimoni realizzati con capitali illeciti, e quindi un maggior rigore nell’azione preventiva. Prefetture e Gruppi Interforze, come quello realizzato in Emilia Romagna dopo il terremoto del 2012, hanno esperienze e competenze avanzate in questo settore che potrebbero essere meglio valorizzate”. Per l’amministratore che gestisce beni confiscati, tanto in Sicilia quanto in Emilia, la prevenzione resta dunque strumento fondamentale di contrasto alla criminalità organizzata. Non sembra condividere questa idea Matteo Salvini. Alcuni giorni fa il leader della Lega era visita elettorale a Reggio Emilia. Ai cronisti che gli chiedevano conto dell’interdittiva antimafia emessa dalla Prefettura nei confronti del consorzio Edilgest, guidato dal coordinatore provinciale del Carroccio Roberto Salati, ha risposto che lui “non dà peso ai sospetti, alle dicerie, alle voci”. Parola di Vicepresidente del Consiglio dei ministri.

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