di Arturo Primavera
L’8 giugno andiamo alle urne, se possibile. Lo so, c’è chi dice che votare non serve a niente, che tanto, alla fine, le decisioni importanti vengono prese non nelle sedi della politica istituzionale, ma altrove; e questo vale, in particolare, per il Parlamento Europeo: un’assemblea priva di reali poteri di indirizzo. E poi, dài: alle elezioni, si sa che entri dentro una cabina, metti la tua scheda in un’urna e poi dall’altra esce la sorpresa.
Allora vogliamo stare zitti e far sì, come nelle scorse politiche del 2022, fissate guarda un po’ con stretti termini balneari, che una minoranza di votanti ci porti qualcosa di simile a questo bel governo qui? E tutto ciò con una guerra in corso, dove l’atteggiamento della stragrande maggioranza della classe politica europea si è manifestato nei suoi aspetti più allucinanti: baldo interventismo, totale asservimento alla linea politica di chi da questa guerra trae il maggior vantaggio, cioè gli Usa, mediante sanzioni per immiserirci e armi per uccidere sempre di più. Ora, però, col peggiorare di una guerra cui si partecipa senza dichiarazione (e in violazione delle principali costituzioni dei paesi europei), si sta passando dalle farneticazioni più o meno calcolate dei capintesta e dei governi europei a qualcosa di effettivamente più serio. Che vuol dire? Che ci stanno trascinando in maniera lenta ma inesorabile verso un conflitto “caldo”.
Allora, vogliamo che coloro che inviano armi sempre più potenti, alla fine, coinvolgano anche noi oppure vogliamo cominciare a far sentire la voce della maggior parte delle persone che ancora non ha smesso di ragionare, correndo dietro alle dichiarazioni irresponsabili di alcuni politici e alle fole della maggior parte dei mass-media? Servirà forse a poco sul piano politico; ma l’8 e il 9 giugno cominciamo a mandare a casa quelli che ora seggono al Parlamento Europeo: la sparizione di certe facce farà star meglio anche noi e sarà un segno che non siamo disposti a mandar giù ogni rospo che ci presentano.
Ma chi votare? Ragioniamoci: la mia proposta è di dare il voto a tutti coloro che, in maniera sincera e coerente, si sono schierati da tempo, se non da sempre, contro la guerra e per i negoziati. Tutti coloro, a qualsiasi partito o fazione appartengano, che abbiano veramente a cuore la pace. Non dico che debbano essere per forza in buona fede: agiscano pure anche per calcolo personale e per rifarsi un nuovo guardaroba politico (ce ne sono). L’avverbio “coerente” dovrebbe essere usato come criterio di giudizio per distinguere gli avvoltoi travestiti da colombe, o da fatine, i “pacifinti”, dai veri pacifisti. Bisogna stare attenti. Più d’uno sta facendo notare, che proprio ora, in costanza delle elezioni, molti guerrafondai si sono convertiti alla moderazione; tutta la paura che la Russia invada anche l’Europa, lo sdegno, la voglia di giustizia sembrano pure sparite. Cominciano a diffondersi sempre più notizie critiche dell’opinione dominante, dove prima c’era irrisione e censura.
Non c’è da fidarsi, ed è chiaro: non è bello, infatti, presentarsi alle elezioni promettendo un futuro di lacrime e di sangue, come affermò il famoso statista inglese (a elezioni già vinte, però); per cui, se dovessero prevalere questi, la retorica dell’inevitabile corsa all’armamento e alla guerra ricomincerà subito dopo, col risultato che, se non scoppierà la guerra nucleare addirittura sul nostro territorio, si avrà un futuro di miseria e precarietà.
Rivedendo le famose immagini del treno carico di carri armati inviato verso quel fronte, prima di andare a votare, magari indossando la maglietta verde di un noto comico politico, ci si dovrebbe ricordare che la lista d’attesa per effettuare una diagnostica o una prestazione sanitaria presso una struttura pubblica, il degrado di un edificio scolastico o di accoglienza o semplicemente l’impossibilità di riscaldarsi contro il freddo è il saldo negativo di quella spesa voluta ardentemente da questa politica.