In questi ultimi mesi è andata sempre più allungandosi la lista dei casi di cronaca che vedono al centro violente aggressioni, a volte con esito fatale, da parte di cani di razza pitbull nei confronti di persone e purtroppo anche di bambini. Gli ultimi due riguardano episodi avvenuti in Sardegna e in Puglia, ma ancora vivo e bruciante purtroppo è il ricordo che vede protagonisti alcuni esemplari di questa razza che hanno aggredito e ucciso un bimbo di 13 mesi a Eboli, mentre si trovava in braccio ad un parente, e un uomo mentre faceva jogging nel bosco di Manziana.

Questi tragici eventi hanno inevitabilmente suscitato un acceso dibattito mediatico sull’opportunità di continuare a detenere razze di cani definiti “assassini”, “killer”, “bestie feroci” e sull’ineluttabilità dei loro comportamenti che, secondo alcuni commentatori, sarebbero del tutto imprevedibili e potrebbero sfociare in qualsiasi momento in aggressioni mortali nei confronti non solo di estranei ma anche degli stessi proprietari. Razze di cani attualmente vietate in alcuni Paesi europei, ma usate per fare compagnia a pazienti psichiatrici negli Stati Uniti o in forze alla protezione civile per la ricerca di persone scomparse in seguito a calamità naturali in altri Stati; a dimostrazione del fatto che la loro condotta si adatta perfettamente ai condizionamenti ambientali e agli scopi perseguiti dagli esseri umani.

Anche se va precisato che razze come i pitbull non sono riconosciute dall’Ente Nazionale Cinofilia Italiana, perché sono frutto di una selezione compiuta dall’uomo che li ha volutamente “creati” per ottenere esemplari con una forte presa mascellare e un’indole predatoria e aggressiva atta al combattimento, è altrettanto importante sottolineare che il loro modo di comportarsi quando vengono in contatto con altri animali o con esseri umani dipende in gran parte da come vengono gestiti dai proprietari.

In tutti i casi di cronaca che vedono protagonisti cani come pitbull, rottweiler, dobermann, il comune denominatore scaturito dalle indagini che sono seguite alle tragiche aggressioni hanno infatti sempre evidenziato che questi animali erano gestiti in maniera pessima dai proprietari e addirittura, in alcuni casi, ceduti a prezzi stracciati da improvvisati allevatori senza scrupoli a caccia di soggetti che desiderano possedere cani potenzialmente aggressivi e violenti per moda e per scopi che nulla hanno a che vedere con l’intenzione di accogliere in casa un animale domestico e prendersene cura in maniera adeguata come fosse, a tutti gli effetti, un membro delle famiglia.

Se una persona ama collezionare questo tipo di cani, farne uno status symbol con cui pavoneggiarsi, oggettivizzarli come se fossero trofei, se un proprietario non riserva mai loro un gesto di affetto o una carezza, li tiene reclusi in uno scantinato sporco o in un terreno isolato, non li nutre in modo adeguato o addirittura fa mancare loro il cibo, li addestra unicamente alla guardia di beni o immobili e all’aggressività verso elementi esterni, è inevitabile che questo comportamento, di cui è responsabile unicamente l’uomo, possa sfociare in episodi di aggressioni violente.

Se a monte, ovvero negli allevamenti, non c’è un training di condizionamento e, successivamente, da parte dei proprietari non c’è la consapevolezza di dover gestire un cane di grossa taglia che richiede cure e attenzioni maggiori rispetto ad un cagnolino da salotto, a poco valgono gli obblighi di legge, che vanno in ogni caso rispettati, di doverli tenere al guinzaglio nei luoghi pubblici e di far indossare loro la museruola in situazioni di possibile criticità.

La proposta di rendere obbligatorio un patentino che certifichi il possesso responsabile di un determinato tipo di cane è certamente una buona idea, perché presuppone che i proprietari debbano sottoporsi ad un percorso formativo che li sensibilizzi e anche alla stipula di un’assicurazione; ed è, senz’altro, anche un modo per evitare di stigmatizzare e demonizzare determinate razze e provocare un fenomeno a cui stiamo assistendo negli ultimi tempi, con canili e rifugi costretti a farsi carico di pitbull e rottweiler abbandonati da proprietari pentiti e preoccupati per il clamore suscitato dagli ultimi casi di cronaca. Cani abbandonati, spesso insieme ai propri cuccioli, per via di uno stigma e di una cattiva fama la cui responsabilità ricade prima di tutto sugli esseri umani.

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