“Oggi noi abbiamo tutti i supermercati nella cintura milanese che sono in mano alla ‘ndrangheta della Jonica. Tutti i locali pubblici di divertimento, del centro di Milano, dove vanno calciatori e attori, sono in mano alla ‘ndrangheta”. È l’allarme lanciato dal procuratore capo di Napoli, Nicola Gratteri, nel corso del suo intervento nel convegno “Le rotte e le logiche del traffico internazionale di stupefacenti e le evoluzioni della criminalità organizzata transnazionale”, tenutosi qualche giorno fa nel Palazzo di Giustizia di Palermo e organizzato dalla Scuola Superiore della Magistratura, dalla Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, con il Programma Falcone Borsellino del ministero degli Affari Esteri.

Il magistrato ricostruisce la storia dell’evoluzione della ‘ndrangheta, che da diversi decenni ha concentrato i suoi interessi sul traffico di droga e sulla grande distribuzione al Nord. E si toglie, al contempo, qualche sassolino dalla scarpa citando proprio gli anni in cui fu messo sotto scorta, nonché colleghi e addirittura istituzioni che minimizzavano il suo rinomato lavoro sulle cosche calabresi: “Ho iniziato nell’89 a fare questo tipo di indagini sulla droga, all’epoca ero già in Venezuela e in Colombia. In Italia i puristi, i grandi magistrati, storcevano il naso e dicevano: ‘Gratteri si occupa solo di droga’. Ci fu un presidente di Commissione Antimafia che a Reggio Calabria, nelle serate d’estate, ridacchiando e non avendo il coraggio di fare il mio nome, disse che la droga non gli interessava – continua – Ma anche Procure importanti del Nord Italia hanno fatto una strategia dicendo che non erano importanti le indagini di droga, e in 7 anni a Milano, statistiche alla mano, sono diminuiti del 70% i sequestri e gli arresti per droga, ma anche le indagini per il 74 Dpr 309/90 (articolo del codice penale che racchiude le disposizioni per contrastare il narcotraffico e che punisce il reato di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, ndr)”.

Tutto parte dal 1969, come spiega Gratteri ricordando la “rivoluzione” interna alla ’ndrangheta con la creazione della Santa, che sancì la possibilità per un boss della ’ndrangheta di essere affiliato alla massoneria deviata e quindi di entrare nei quadri della pubblica amministrazione: “Questo è stato il grande salto di qualità della ‘ndrangheta perché all’interno delle logge massoniche deviate c’erano la classe dirigente italiana, le istituzioni, uomini delle forze dell’ordine e anche alcuni magistrati. A Locri nel 1970 si celebrò un importante processo che riconobbe anche questo tratto distintivo della ‘ndrangheta ma l’anno dopo la Corte d’Appello di Reggio Calabria cassò la sentenza. Tra l’altro – continua – allora non esisteva nemmeno il reato di associazione di tipo mafioso, prevista dal 416 bis ma solo il 416, cioè l’associazione per delinquere. E quindi per 40 anni magistrati, giornalisti, forze dell’ordine, storici, professori universitari hanno continuato a parlare di una ‘ndrangheta stracciona o al massimo di sequestri di persona, che vanno dal ’73 all’89”.

Il magistrato aggiunge: “Sono stati circa 380 i sequestri di persona, ognuno dei quali ha fruttato un miliardo e mezzo di lire. Allora le misure di prevenzione non erano evolute come oggi, quindi all’epoca c’erano case intere piene di banconote, addirittura vi erano sotto terra bidoni dell’olio contenenti contanti. Con tutte quelle banconote fruttate dai sequestri di persona poi la ‘ndrangheta decise di investire nel narcotraffico grazie a due coincidenze favorevoli”.

E spiega la prima coincidenza propizia per la ‘ndrangheta calabrese, cioè l’impegno esclusivo dello Stato contro la mafia siciliana: “Negli anni ’90 Cosa Nostra decise per lo stragismo e per la guerra contro lo Stato, che quindi fu costretto a reagire e a mandare in Sicilia di tutto e di più. In questo Riina, secondo me, era un cretino dal punto di vista della strategia militare perché non ha avuto una visione da condottiero. Come mi disse successivamente un latitante ‘ndranghetista che catturai, se il coraggio fosse sangue il mare sarebbe rosso, vale a dire: non ammazziamo non perché non abbiamo coraggio, ma perché non ci conviene”.

Il secondo fatto cruciale che indusse la ‘ndrangheta al reinvestimento dei soldi nel traffico di droga fu la forte richiesta di cocaina negli anni ’90. “È l’epoca della piena omologazione di gusti, usi e consumi nella cultura occidentale – sottolinea Gratteri – Negli anni ’70 chi era di sinistra usava prevalentemente eroina, chi era di destra preferiva la cocaina. In quegli anni ci si riconosceva anche per come ci si vestiva o per gli ascolti musicali. Se eri di sinistra, ti piaceva Francesco Guccini; se eri di destra, ti piaceva Lucio Battisti. Negli anni ’90, invece, iniziò l’omologazione dei gusti e quindi tutti cominciarono a preferire la cocaina. E la ‘ndrangheta cosa fa? – conclude – Manda in Colombia e in Bolivia decine di giovani broker a comprare la droga a prezzi più bassi. Ancora oggi alcune organizzazioni vendono alla ‘ndrangheta la cocaina a 1000 euro al chilo”.
Da lì la svolta definitiva della ‘ndrangheta verso i traffici di droga e le attività di riciclaggio fuori dai confini calabresi.

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