“Un milione di vetture”. Le uniche quattro parole che interessavano ai sindacati, nel chiuso del Centro Stile di Torino, Carlos Tavares pare che non le ha mai pronunciate. Accanto alle promesse di riportare la 500 ibrida a Mirafiori e assemblare la Jeep Compass a Melfi, cioè nulla che abbia un orizzonte vicino, l’ad di Stellantis ha invece messo in fila tutto quello che servirà perché si concretizzino davvero le due mosse, in grado di dare un minimo di sollievo a volumi produttivi sempre più deprimenti negli stabilimenti italiani. Sono tre richieste, pressappoco le stesse che l’amministratore delegato continua a far filtrare da un anno, cioè da quando il ministro delle Imprese Adolfo Urso ha iniziato a tentare – in maniera finora sterile – di disegnare un futuro al settore dell’automotive in Italia. E ora proprio lui, alla vigilia delle Europee, sembra cedere ai “pagherò” della casa automobilistica.

Eppure davanti ai segretari nazionali di Fiom, Uilm, Fim e delle altre sigle dei metalmeccanici e dei quadri, Tavares ha fatto presente che il governo dovrebbe rendere stabili gli incentivi per l’elettrico dando una prospettiva pluriennale all’ecobonus e immaginandone anche il peso, che replicherebbe in buona sostanza l’attuale sconto che arriva fino a 13mila euro a vettura. Tra i desiderata dell’azienda resta anche un abbattimento del prezzo dell’energia del 20-25% e spunta la messa a terra di una capillare infrastruttura di colonnine di ricarica. Queste le condizioni affinché tutto si incastri, nella prospettiva di Stellantis che ha cercato una sorta di alleanza con i sindacati per spingere il governo a sostenere il settore, cioè sostanzialmente sé stessa e a cascata tutto l’indotto. Dare con la mano destra, prendere con la sinistra e praticamente tenersele libere entrambe.

Ma come aveva anticipato dal Fatto.it, il ritorno della 500 ibrida a Mirafiori dallo stabilimento polacco di Tychy – a cui Stellantis ha aggiunto la Jeep Compass a Melfi – non sarebbe bastato ai sindacati. Poche rassicurazioni anche sugli altri stabilimenti: la Panda resterà a Pomigliano d’Arco fino al 2029, la Maserati Grecale a Cassino insieme a tre nuove auto tra il 2025 e il 2027 ma del settore “lusso” e quindi senza grandi volumi produttivi. Per trovare una piena condivisone dei metalmeccanici non è stata sufficiente neanche l’assicurazione di un budget corposo per investimenti in salute e sicurezza dentro le fabbriche, una vecchia battaglia della Fiom.

“Non ci sono garanzie su occupazione e rigenerazione con nuove assunzioni, su ricerca e sviluppo, progettazione e produzione”, ha scritto mercoledì mattina il segretario generale della Fiom Michele De Palma. Fredda è stata anche la Uilm guidata da Rocco Palombella, sottolineando la totale assenza di svolte su questioni “irrisolte”, come il rilancio del marchio Maserati e dello stabilimento di Modena. Un’accoglienza che, forse, permette a Stellantis di rallentare la proclamazione di un sciopero nazionale dell’automotive (il 12 giugno si replica a Torino quello di aprile) in rampa di lancio da un mese, ma il segnale che l’obiettivo di lungo periodo – giocare di sponda con i sindacati per spingere il governo a sganciare un’altra valanga di soldi pubblici – è già naufragato. A Palazzo Chigi puntano anche i segretari nazionali, ma ci vogliono arrivare con le mani libere. Nell’ultimo anno, del resto, i segnali dell’azienda sono stati esclusivamente negativi. E la situazione si è ulteriormente deteriorata nelle scorse settimane fino alla chiusura di Mirafiori per un mese e l’estensione del contratto di solidarietà ad altri 1.174 dipendenti fino al 4 agosto.

Esiste quindi un problema contingente (i volumi produttivi sono calati del 9,8% nel primo trimestre, secondo i dati Fim-Cisl, e andrà peggio nel secondo) e durerà almeno fino al 2026, quando le promesse di Stellantis dovrebbero iniziare a trasformarsi in nuove vetture da assemblare. Martedì Urso ha preso l’impegno di sottoporre la questione a Giorgia Meloni. La nuova rassicurazione si aggiunge alla sfilza di annunci con la quale il ministro ha riempito l’ultimo anno, sparando spesso alto e altrettante volte a vuoto. Quasi dodici mesi fa garantì un accordo con il gruppo automobilistico entro agosto, ma il tavolo che avrebbe dovuto portare a un milione di veicoli prodotti in Italia ha visto la luce solo lo scorso 6 dicembre ed è nato condizionato dalle richieste di Stellantis, dettate già il 20 novembre con la subordinazione a incentivi, costo dell’energia più basso e addio alle norme sugli Euro 7.

Sei mesi dopo l’incremento della produzione del 25-30% resta lontano, anche quando le promesse avanzate dall’azienda verranno messe a terra tra qualche anno. Eppure il ministro, ancora martedì, ha detto che “siamo sulla strada giusta per chiudere con un accordo di sviluppo questo tavolo” e ha ipotizzato che la firma arrivi “entro giugno”, vacillando davanti alle promesse dell’azienda. Di certo finora ha ottenuto, in nome dell’italian sounding, vittorie di bandiera, nel senso letterale del termine: il cambio del nome dell’Alfa Milano prodotta in Polonia, e la rimozione della tricolore dalla 600 e dalla Topolino, sfornate a Tychy e Kenitra. Oltre a dover incassare una battuta fulminante di Tavares: “Credo che il governo greco sarà molto fiero che chiamiamo Ypsilon la nuova Lancia”. Per tutto il resto c’è tempo, sempre meno.

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