Giustizia & Impunità

Dopo 15 anni la Dda di Napoli incastra i boss mandanti dell’omicidio del consigliere dem stabiese Tommasino, che voltò le spalle al clan

Piomba come un missile sulle imminenti elezioni amministrative la svolta sull’omicidio del consigliere comunale Pd di Castellammare di Stabia Gino Tommasino, 15 anni dopo il delitto che sconvolse la città delle Terme e di Fincantieri. Individuati e condannati da tempo i quattro assassini, il gruppo di fuoco del clan D’Alessandro, finalmente vengono incastrati i mandanti. E si mette nero su bianco il movente.

Fu una decisione di Sergio Mosca e del boss Vincenzo D’Alessandro, che diede il suo placet, e Mosca – con le sue interferenze nelle elezioni amministrative del 2018 – è tra gli esponenti del clan citati nelle 152 pagine della relazione che ha determinato nel 2022 lo scioglimento per infiltrazioni camorristiche. Ma su questo torneremo dopo. Mosca è detenuto al 41 bis, D’Alessandro era a Nuoro per una misura alternativa: in ogni caso, da tempo viveva lontano da Castellammare di Stabia.

Tommasino, come si legge tra le 337 pagine dell’ordinanza firmata dal Gip di Napoli Marco Giordano su richiesta della Dda di Napoli – procuratore Nicola Gratteri, aggiunto Sergio Ferrigno, pm Giuseppe Cimmarotta – fu ucciso il 3 febbraio 2009 con tredici colpi di pistola mentre guidava la sua auto sul viale Europa (il figlio rimase illeso), perché era tra quelli che “spendevano falsamente il nome dei D’Alessandro per introitare guadagni illeciti che sarebbero, in realtà, spettati a Scanzano (roccaforte del clan, ndr)”. Con il boss Pasquale D’Alessandro, fratello di Vincenzo e genero di Mosca, “aveva chiuso degli accordi (evidentemente relativi a cointeressenze economico-politico-criminali) ai quali era tuttavia venuto meno una volta che il D’Alessandro era stato arrestato”.

E così il politico dem finì anche lui tra quelli che dovevano essere gambizzati o ammazzati, una lunga scia di sangue che attraversò Castellammare di Stabia tra la fine del 2008 e il 2009, inserito nella “lista di “priorità” di persone da eliminare, uomini che, si diceva in qualche modo avevano sgarrato con la “famiglia” e dunque indegni di vivere e meritevoli di vendetta”, scrive il collaboratore di giustizia Catello Romano, già condannato per questo omicidio, nella tesi di laurea elaborata in carcere e acquisita agli atti. Romano nel 2009 aveva la tessera del Pd, partecipò alle primarie. Aveva 19 anni. Lo aveva iscritto Tommasino. Il politico stabiese aveva fatto incetta di adesioni a Scanzano.

L’inchiesta del pm Cimmarotta e dei carabinieri del nucleo investigativo di Torre Annunziata ha messo a sistema quindici anni di atti giudiziari, di informative, di processi e di sentenze definitive che hanno attraversato e sviscerato le dinamiche del clan D’Alessandro e i suoi crimini eccellenti. Omicidio Tommasino compreso, per il quale il primo a indicarne in Mosca uno dei mandanti, fu uno dei killer, Salvatore Belviso, in uno dei suoi primi verbali da collaboratore di giustizia. Era il 2012 e fu pubblicato su ilfattoquotidiano.it. “L’ordine venne da Sergio Mosca direttamente a me, e nel darmelo, mi ha detto che Tommasino era diventato politicamente importante grazie all’appoggio del clan D’Alessandro, ma non aveva rispettato gli impegni prendendo le distanze”.

Un altro pentito del gruppo di fuoco, Renato Cavaliere, ‘mentore’ di Romano, è ancora più netto: “Io e Belviso agivamo in simbiosi ed era come se fossimo una persona sola. Se Belviso mi diceva che dovevamo uccidere qualcuno io non gli facevo domande perche sapevo che anche lui aveva rapporti diretti con Vincenzo D’Alessandro. Quando Belviso mi ha detto che dovevamo uccidere Tommasino io non gli ho chiesto spiegazioni perché ho pensato che l’ordine provenisse da Vincenzo D’Alessandro”. Il terzo pentito, Raffaele Polito, ha dichiarato che il consigliere comunale stabiese era stato ucciso perché aveva sottratto soldi al clan, lo aveva saputo da Belviso a Piancastagnaio, nel senese. “Costui gli aveva detto che la somma ammontava a 30.000 euro, ma per il resto era stato abbastanza vago”, sintetizza il Gip.

La decisione di ammazzare Tommasino fu presa nel gennaio 2009 e D’Alessandro la avallò senza opporsi. Prima ci fu un incontro tra Belviso e D’Alessandro a Rimini, poi il boss scese a Castellammare e incontrò Mosca a casa sua. Alla fine della chiacchierata, D’Alessandro disse a Belviso: “Tutto a posto, vedi tu come devi fare, ma non mettere come priorità questa situazione, ma la nostra che già sai”. Si riferiva alla pianificazione degli omicidi dei fratelli Fontana.

Mosca è rimasto a lungo a piede libero e nel 2018 viene intercettato mentre fa propaganda elettorale per un candidato di Forza Italia al consiglio comunale di Castellammare di Stabia. La circostanza è inserita nella relazione dello scioglimento per camorra: “Quello che appare chiaro dal tenore della conversazione è il gradimento (di Mosca, ndr) per il partito Forza Italia e per il suo coordinatore Pentangelo (ex deputato, estraneo alle indagini, ndr), anch’egli definito “amico di Pasqualino”. Il centrodestra vinse quelle elezioni e venne eletto sindaco l’azzurro Gaetano Cimmino: nel 2009 Cimmino era il segretario del Pd che firmava le tessere raccolte da Tommasino.