Lui sostiene di non ricordare quei momenti sul cavalcavia. Ha ricostruito la lite precedente, non ha negato che fossero in quella zona e sostiene di essere tornato a casa, addormentandosi tranquillamente. Addirittura ha mandato un messaggio alla compagna il mattino dopo: “Sei andata al lavoro?? Non ci hai nemmeno salutato!!”. Giada Zanola era già morta alle 7.38 di mercoledì mattina, volata giù dal cavalcavia dell’autostrada A4 a Vigonza, nel Padovano. E quella del compagno Andrea Favero è tutta una “messa in scena”, spiega il pubblico ministero Giorgio Falcone nel decreto di fermo con cui ha spedito in carcere il camionista 38enne.

“I vuoti di memoria dell’indagato potrebbero far parte della cosiddetta messa in scena al fine di non scoprire troppo le carte, ma i movimenti dell’auto ripresi dalle telecamere e le sue pur parziali ammissioni rendono evidente che i fatti si sono svolti come da lui spontaneamente ammesso poco prima dell’interrogatorio parlando con la polizia”, si legge in un passaggio del fermo. Nel provvedimento si sottolinea come di fronte al pubblico ministero, il 38enne “forniva una versione poco credibile”, una versione “addomesticata e reticente” che ha propinato anche alla madre alla quale racconta che sono “andati tutti regolarmente a dormire”.

L’indagato “è arrivato a simulare di avere appreso della morte della compagna solo dopo avere letto un messaggio” in una chat. “Io quando è arrivata la polizia chiedendomi di Giada ho sperato che lei stesse bene e ho appreso della sua morte solo da un messaggio postato sulla chat del quartiere in cui abitò”, si legge nel dispositivo di fermo. Ma, secondo la procura di Padova, “appare chiara dalle stesse parole dell’indagato l’esistenza di un forte movente per l’omicidio, accompagnato da un dolo che, allo stato degli atti, può qualificarsi come dolo d’impeto”.

Ad avviso del sostituto procuratore, “il suo viscerale attaccamento al figlio che accudiva in ogni modo, a fronte della continua minaccia ricattatoria della vittima che faceva leva proprio su tale rapporto viscerale, prospettando al possibilità di portargli via il figlio e non farglielo vedere più” rappresenterebbe il movente che avrebbe spinto l’uomo a uccidere la compagna. “L’indagato ha subito una serie di ‘colpi’ che lo hanno caricato al punto di perdere completamente la testa e uccidere la Zanola”.

Di questo quadro farebbe parte anche “l’annullamento delle nozze già fissate, i problemi economici, la vita da separati in casa, la possibile fine della convivenza che avrebbe impedito all’indagato di avere rapporti quotidiani con il figlio, le continue minacce di togliergli il figlio e non farglielo più vedere, reiterate anche e soprattutto pochi istanti prima dell’omicidio”. Si tratta di circostanze che, ad avviso dell’accusa, “hanno concorso a creare il corto circuito che ha condotto l’indagato all’omicidio”.

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