Pioniera della pressioni su Israele contro la politica di “apartheid” sulla popolazione della Striscia di Gaza, Ada Colau, un anno e mezzo fa da sindaca di Barcellona interruppe le relazioni tra il suo comune e Tel Aviv. E ora – da poco rientrata dalla viaggio sulla flotilla per portare aiuti umanitari a Rafah, “bloccata da Israele”, continua nel suo impegno a favore del popolo gazawi. “Bisogna fare pressione sul governo Netanyahu perché interrompa subito il genocidio a Gaza”, ci dice dalla sua casa di Barcellona da dove partirà questo fine settimana per partecipare al Festival Encuentro a Perugia e Castiglione del Lago. “La situazione palestinese è terribile già da anni”, spiega l’ex sindaca che dalla sua coalizione spinge il governo spagnolo di Pedro Sanchez per andare oltre il riconoscimento dello stato di Palestina. “Israele non rispetta le risoluzioni internazionali, Amnesty international parla di apartheid. Ed è proprio per non normalizzare questa situazione che da sindaca ho interrotto le relazioni con Israele, come si fece con il Sudafrica. Cosa che mi è costata una pressione incredibile e anche una denuncia penale, poi archiviata, ma attraverso cui Tel Aviv ha mostrato tutto il potere che ha e tutto il denaro che ha”.

Lei parla di genocidio. Questo termine tuttavia ancora non è stato accertato dalla giustizia internazionale.

Vede, quello che è successo a ottobre scorso, il terribile attacco di Hamas che tutti noi abbiamo condannato, non giustifica neanche lontanamente il genocidio che ha messo in atto il governo Netanyahu. Il genocidio è stato preso in considerazione dall’Assemblea dell’Onu, così come dal Tribunale internazionale dell’Aja che ha accettato la denuncia del Sudafrica: per me dunque è provata. Vediamo una popolazione indifesa che non può fuggire – in questo non è paragonabile a ciò che succede in Ucraina, dove la popolazione colpita dalla Russia può scappare, di fatto noi stessi abbiamo accolto migliaia di sfollati ucraini -. Eppure in questo caso la denuncia internazionale contro Mosca è stata immediata, così come la rottura delle relazioni tra Russia e Occidente e si sono introdotte sanzioni nell’immediato. E stiamo parlando dello scontro tra due eserciti regolari. La guerra non è mai positiva, ma almeno in Ucraina possiamo dire che si scontrano due eserciti. A Gaza assistiamo a un genocidio perché l’azione di Israele è contro un’intera popolazione alla quale non si permette fuggire. E infatti i numeri dicono che è la guerra nella quale sono morti più bambini e donne che negli ultimi conflitti. Cos’altro deve succedere perché si parli di genocidio? È la doppia morale della geopolitica.

Crede che facendo pressione su Israele si otterrà qualcosa?

Netanyahu si sente forte perché è protetto dagli Stati Uniti e da altre potenze come la Germania, evidentemente. Se il mondo occidentale mettesse un embargo alle armi a Israele e isolasse il Paese, Nentanyahu, già molto criticato dalla sua stessa gente, e che secondo la Corte di giustizia dell’Aja criminale di guerra, forse smetterebbe di bombardare, o quanto meno lascerebbe passare gli aiuti umanitari.

Perché la questione palestinese le sta così a cuore?

Per prima cosa perché penso che sia la guerra più cruenta che abbiamo visto, e dove si assassinano più innocenti, giornalisti ecc. ma anche perché da madre e da donna non voglio far passare il concetto che si normalizzi la barbarie. Dobbiamo salvare l’umanità. Perché se si permette che a Gaza si spazzi via il sistema del diritto internazionale, dei diritti umani, se non ci sono linee rosse, questo significa che oggi è la Striscia, domani potrebbe essere qualsiasi altro posto del mondo.

Oltre alla pressione su Israele, l’altro passo – intrapreso dalla Spagna – è il riconoscimento dello Stato di Palestina.

Sì, la Spagna ha riconosciuto la Palestina. Ma per noi (il partito Comuns nel quale milita l’ex sindaca di Barcellona e che a livello nazionale confluisce in Sumar di Yoalanda Diaz, alleato a sinistra del governo socialista, ndr) non è sufficiente. Bisogna mettere l’embargo sulle armi e interrompere le relazioni con Israele per isolarlo. Ma riconoscere lo stato di Palestina è il minino sindacale per mettere in atto la risoluzione dell’Onu che non è un’opinione, ma una decisione che va rispettata. Se l’Occidente crede al sistema delle Nazioni Unite che si mise in piedi perché gli orrori della Seconda guerra mondiale non si ripetessero, non può permettere che Israele violi il diritto internazionale.

Il riconoscimento ritiene possa essere propedeutico al dialogo?

Certo, solo dal riconoscimento mutuo di due popoli si può iniziare un dialogo intorno a un tavolo per discutere del futuro della Regione e stabilire un cammino per la pace e la sicurezza.

In questo momento non vede un po’ difficile anche solo la possibilità che i gazawi rientrino nelle loro case?

Israele ha distrutto tutto, vero. Ma il cammino della pace deve iniziare, non ci si può arrendere neanche davanti al livello di distruzione di Gaza. Il primo passo è un cessate il fuoco, poi il passaggio degli aiuti umanitari, e poi ci si siede intorno a un tavolo riconoscendo ai palestinesi diritto di popolo per stabilire un programma che porti alla pace definitiva tra i due popoli.

A quali leader dovrebbero affidare i palestinesi il loro futuro?

Pensare che i palestinesi della Striscia dopo mesi di sterminio eleggano leader o rappresentanti in questo momento è un’offesa anche solo pensarlo. La popolazione palestinese a mala pena può combattere per la sopravvivenza. Deve essere l’Occidente a ristabilire prima un’umanità a Gaza e poi aiutare il processo di pace.

Eppure pare che in Europa vinceranno alle prossime Europee i leader di destra che come il governo Netanyahu non sono proprio dalla parte dei palestinesi.

Ovviamente questa non sarebbe una bella notizia per Gaza. Ma sono certa che la maggior parte dei cittadini europei e occidentali voglia la pace e non voglia vivere in guerra. Credo che si sia bisogno di una mobilitazione dell’intera umanità per quello che sta succedendo, siamo in un momento cruciale, di quelli che unici nella storia dell’umanità e non possiamo lasciare solo ai rappresentanti politici decisioni così importanti. Questo vale anche per la questione delle armi.

Di fatto in Europa assistiamo a un’escalation anche da questo punto di vista.

A me preoccupa molto che Ursula von der Leyen lanci una gara a chi produce più armi, ad esempio. Sappiamo che dietro ci sono le industrie degli armamenti che ci stanno guadagnando moltissimo.

La Catalogna ha un rapporto speciale con la questione palestinese?

La Catalogna si è sempre battuta per le minoranze, ha un passato di lotta in difesa dei rifugiati siriani ad esempio, per il salvataggio dei migranti dalla morte in mare … sì, abbiamo una tradizione di solidarietà internazionale molto forte io credo.

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