Lavoro & Precari

Lavoratori stranieri, solo il 23% di chi arriva con le quote avrà un contratto. “Ecco perché i decreti flussi producono irregolari”

Il sistema dei decreti flussi per l’ingresso di lavoratori stranieri in Italia si conferma rigido e inefficace, capace di trasformare solo una minima parte delle quote di ingresso in contratti di lavoro. E’ la fotografia impietosa che emerge dal dossier “I veri numeri del decreto flussi: un sistema che continua a creare irregolarità”, redatto dalla campagna Ero Straniero e presentato oggi in Senato a Roma. Solo il 23,52% delle quote fissate per il 2023 si è tradotto in permessi di soggiorno e impieghi stabili e regolari. Nel 2022, il tasso era leggermente più alto, al 35,32%, ma riguardava un numero di quote inferiore. Un vero e proprio buco nell’acqua che non è in grado di rispondere alle richieste del mercato del lavoro, che già domanda sempre molti più lavoratori stranieri di quanti non ne prevedano le quote stabilite dai governi. Peggio: un cortocircuito che crea irregolarità e sacche di illegalità che senza un intervento urgente per l’emersione su base individuale aumenteranno ora che il governo Meloni ha raddoppiato le quote.

Secondo il dossier, nel 2023 le domande di ingresso per lavoro sono state sei volte superiori alle quote fissate dal governo: 462.422 richieste contro 82.705 posti disponibili. In altre parole, appena il 4% delle richieste del mercato del lavoro vengono soddisfatte. Perché solo una piccola frazione è stata finalizzata con la sottoscrizione del contratto di lavoro e la richiesta di permesso di soggiorno. Giulia Gori della Federazione Chiese Evangeliche Italiane, Fabrizio Coresi di ActionAid e Francesco Mason dell’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione, durante la presentazione del dossier al Senato, hanno sottolineato come “il sistema continui a essere insufficiente rispetto alle richieste del mondo produttivo e a conservare storture e criticità profonde che finiscono per creare irregolarità e precarietà”.

I dati parlano chiaro. Nel 2022, solo il 36% delle quote per il canale stagionale e il 33,4% per quello non stagionale si sono tradotti in contratti di lavoro. Anche per il 2023 la situazione non migliora: su 74.105 posti disponibili (su 82.705 quote complessive, che includono le conversioni), solo 17.435 domande sono state finalizzate, ovvero il 23,5%. La procedura, nonostante le semplificazioni introdotte, si inceppa già al rilascio del nulla osta all’ingresso e si complica ulteriormente nel passaggio successivo del rilascio dei visti da parte delle rappresentanze italiane nei paesi di origine. Al 31 gennaio 2024, risultano rilasciati 57.967 visti a fronte di 74.105 ingressi previsti, ma ben 38.926 persone si trovano ancora in attesa di convocazione.

Il problema, però, non si esaurisce qui. Solo una parte dei lavoratori che ottiene il visto riesce a stabilizzare la propria posizione lavorativa e giuridica. La maggioranza rischia di scivolare nell’irregolarità, una condizione, denunciano i portavoce, “di estrema precarietà e ricattabilità”. Il dossier evidenzia che, nonostante la legge preveda un permesso di soggiorno per attesa occupazione in caso di indisponibilità all’assunzione da parte del datore di lavoro, questo strumento è stato utilizzato in maniera del tutto insufficiente: solo 146 permessi rilasciati nel 2022 e 84 nel 2023 fino a gennaio 2024.

“Perché tanta rigidità nel ricorso a uno strumento che ridurrebbe significativamente irregolarità, precarietà e lavoro nero?”, si domanda la campagna Ero Straniero. La proposta avanzata è quella di prevedere il ricorso al permesso di soggiorno per attesa occupazione in tutti quei casi a rischio irregolarità, quando la procedura di assunzione non va a buon fine per motivi non dipendenti dai lavoratori. Più a lungo termine, viene ribadita “la necessità di una più generale riforma del sistema di ingresso per lavoro, con l’introduzione della figura dello sponsor o di un permesso per ricerca lavoro, e un meccanismo di emersione su base individuale, sempre accessibile, che dia la possibilità a chi rimane senza documenti di mettersi in regola a fronte della disponibilità di un contratto di lavoro o di un effettivo radicamento nel territorio”.

Tra gli elementi positivi evidenziati nel dossier, spicca il coinvolgimento delle associazioni datoriali nella procedura, che ha portato a un minimo incremento dell’efficacia. Inoltre, il successo dei programmi di formazione nei paesi d’origine, con 6.702 domande su 1.000 posti inizialmente disponibili, dimostra l’interesse del mondo produttivo e la possibilità di un incontro efficace tra domanda e offerta di lavoro.