Forse Sergio Leone avrebbe aggiunto uno sbuffo di polvere sullo sfondo, ma per il resto l’inquadratura western era perfetta. La scena della resa dei conti. Lei, grugno alla Eastwood, avanza decisa verso l’avversario. Lo sfida, lo fissa. Ed è la sua la mano più lesta, che con un movimento secco si tende improvvisa. Spara: “Sono la stronza”. L’altro, sorpreso, intontito, biascica un “Benvenuta.” La pallottola ha trapassato le carni.

Dirà poi, lui, lo sconfitto, che istituzionalmente è il Governatore della Regione Campania, Vincenzo De Luca, di non aver sentito lo sparo, di non aver compreso subito l’affermazione, di aver saputo soltanto dopo, dai social… Abituato com’è a interpretare la parte dello sceriffo, non si attendeva il colpo a bruciapelo di Meloni. Così, ferito ma non trapassato, dopo, molto dopo, replica alla stampa sparando di nuovo: “Meloni ha comunicato la sua vera identità”. Un colpo che al massimo arriverà di striscio alla (o al?) Presidente del Consiglio, uno sparo non all’altezza di quello subito.

La spettacolarizzazione di Meloni non è – soltanto – nella politica che diventa bar, che scade a livelli infimi, che dimentica di essere istituzione, rappresentazione degli italiani ed esempio per chi ascolta. La spettacolarizzazione è nella meticolosa preparazione, nell’attaccare sapendo che c’è una telecamera a mezzo metro che riprende e rilancia. Più che bon ton, bang bang.

Dall’altra parte d’Italia, Paese di spaghetti western e di navigatori, la controparte di Meloni, la segretaria del Pd Elly Schlein, per non essere da meno sceglie di spettacolarizzare le sue ultime dichiarazioni reinterpretando nientemeno che Titanic. A bordo di un traghetto Villa San Giovanni-Messina, coi capelli al vento e i fogli stropicciati in mano, è vittima di un naufragio comunicativo: “Siamo arrivati in 20 minuti – dice con l’azzurro mare sullo sfondo – ma Salvini col Ponte va avanti come un treno perché è il suo spot elettorale”. Come se il suo video non lo fosse.

La sua traversata sembra tranquilla, inaffondabile, ma ecco l’iceberg, grosso, gelido e spigoloso come solo centinaia di commenti sui social sanno essere. Ne prendo uno a caso, opera di un certo Riccardo: “Più o meno venti minuti è al limite da quando il traghetto parte a quando arriva, nel senso letterale, cioè che si ferma. Dimentica la fila, l’attesa del carico e scarico, il blocco di auto, bus e camion che si crea uscendo dal traghetto. Venti minuti: che fanfaronata! Riprovi a luglio e ad agosto, magari in coincidenza con gli esodi, e verifichi le condizioni da terzo mondo della traghettata, le file infinite di ore sotto un caldo da 40 gradi, imbottigliati su viale Boccetta senza via di scampo o viceversa, all’altezza del tunnel di villa San Giovanni, respirando smog.” Ineccepibile.

Perché è vero che la Sicilia è l’Apocalypse now delle infrastrutture e mancano autostrade, strade, ferrovie a doppio binario, inceneritori e dissalatori, ma un ponte con il Paese che conta non è che a noi siciliani farebbe proprio schifo. Sarebbe uno spot elettorale? , è evidente, ma quale opera in Italia non lo è?

Ma la domanda che tutti, siciliani e non, dovremmo farci dinanzi a questi siparietti felliniani è un’altra: davvero è questo il meglio che la politica italiana sa offrire? Davvero contano più le telecamere, come in un enorme Truman Show, dei contenuti, dell’educazione, del buon senso?

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