A Budapest piove. Ilaria Salis è appena uscita dal taxi. È la prima volta che arriva senza catene in tribunale. Ha passato una notte insonne, non era facile e non lo sarà, togliersi di dosso quei 15 mesi di buio, cimici e solitudine. Sfoggia il suo sorriso tranquillo. Mi avvicino a lei e a Roberto, mentre li aiuto a farsi largo per entrare alla terza udienza, veniamo paparazzati dai neonazisti ungheresi… pardon, dai “difensori dei valori tradizionali nazionali”, come si definiscono loro.

Non siamo soli e gli applausi a Ilaria da tanti amici e italiani antifascisti sono solo una piccola parte del calore che si sente arrivare dal nostro Paese. I giornalisti lo sentono, anche per questo sono così tanti e attenti a ogni parola della “detenuta speciale”.

Passano pochi minuti e il gelo si tramuta in rabbia quando il giudice rivela il luogo della detenzione privata di Ilaria, mettendo a rischio la sua incolumità e quella di chi generosamente la ospita. La farsa arriva pochi istanti dopo le rimostranze degli avvocati. Il giudice finge di avere commesso una gaffe, chiede lo stralcio della via dai verbali e dai taccuini dei giornalisti. Come se potesse con una magia dire: “oblivion” e usare un “incantesimo di memoria” sulle tante telecamere presenti in sala che registravano per dirette tv.

Lunedì, a Torino, pioveva come a Budapest. In una sala gremita di gente, abbiamo provato a raccontare perché Ilaria non è libera e non è a casa. Perché in Ungheria rischia una pena di 24 anni, anzi, l’ergastolo. Esatto, perché in quel Paese ogni anno di detenzione in carcere va moltiplicato per cinque se si sconta ai domiciliari: 120 anni. Quando in Italia, probabilmente, non sarebbe stato neanche avviato un processo, siccome nessuna vittima ha denunciato né l’ha riconosciuta.

Ilaria non è a casa ed è in pericolo, perché l’ambasciata le ha negato quella che sarebbe stata la sede più sicura per trascorrere la custodia cautelare.

Alleanza Verdi Sinistra ha proposto a Ilaria Salis di rappresentarla, come di capolista per il collegio Nordovest, alle prossime elezioni europee. Con nostra immensa gioia, Ilaria ha accettato. E così è iniziata un’avventura che, per quanto difficile e dolorosa in primo luogo per lei, è stata ed è ogni giorno più intensa. Abbiamo voluto impegnarci in questa battaglia, portandola anche dentro la nostra campagna elettorale, perché siamo convinti che Ilaria sia, a tutti gli effetti, una detenuta politica. Certo, ora finalmente posta agli arresti domiciliari. Ma una cosa è certa: sappiamo che ciò non sarebbe avvenuto in assenza di questa spinta politica e di attivismo attorno a lei. Non sarebbe avvenuto se tantissimi reporter e giornalisti non avessero tenuto accesa la speranza. Le luci anche quando i riflettori erano spenti. Senza l’intervento del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha pronunciato parole inequivocabili.

Al contrario, le istituzioni che avrebbero dovuto sentire come una priorità l’obiettivo di riportare Ilaria a casa, di garantirle un giusto processo e un trattamento dignitoso, sono state troppo a lungo immobili. L’Italia in primis e anche l’Europa. Nel corso del dibattito pubblico, molti esponenti della destra e dello stesso governo ci hanno accusati di avere compiuto una scelta “gravissima”. Invece per noi gravissimi erano i trattamenti disumani e degradanti a cui Ilaria è stata sottoposta in Ungheria: la detenzione cautelare, la lesione dei diritti difensivi e la sproporzione dell’ipotesi di reato contestata rispetto alla reale entità dei fatti. Gravissimo che la destra italiana abbia fatto da megafono per diffondere la propaganda di Orban.

Per noi la candidatura e la liberazione di Ilaria Salis sono un fatto politico che riguarda l’intera Europa. Un’Europa che non può e non deve essere luogo di negazione di fondamentali diritti, un’Europa finalmente emancipata dagli interessi e dalle nostalgie identitarie che non ne consentono l’evoluzione verso una comunità politica basata su regole comuni, ma soprattutto sui diritti inviolabili di ogni persona.

Un’Europa che non dovrebbe ammettere che al suo interno vi siano invisibili, che vivono una condizione parallela e oscura, come in un mondo sottosopra, ai margini della civiltà, dove il diritto si ritrae, dove troppo spesso si sfogano violenze e frustrazioni verso chi poco può far sentire la sua voce. Perché purtroppo, da Budapest a Torino – come ci ha raccontato il Professor Manconi – le condizioni di chi è privato della libertà e sottoposto a misure detentive non hanno niente a che vedere con un percorso di riabilitazione e successivo reinserimento. Perché troppo spesso “quando hanno aperto la cella” c’era una persona offesa, picchiata o addirittura morta.

Un’Europa in cui – ne abbiamo parlato con Ilaria Cucchi – nessuna persona possa trovarsi coinvolta in casi di violenza da parte delle istituzioni che dovrebbero garantire integrità, giustizia, protezione.

Un’Europa in cui chi lotta per il clima o chi infrange leggi sbagliate per salvare persone da un naufragio non sia considerato il nemico pubblico numero uno, ma una voce da ascoltare.

Roberto Salis, nel corso della bellissima serata all’Hiroshima Mon Amour, ha detto chi, secondo lui, dovrebbe scrivere il nome di Ilaria sulla scheda. Non posso che sottoscrivere le sue parole. Ha detto che dovrebbero farlo gli antagonisti, i protagonisti dei movimenti, quelli che magari finora non hanno creduto nella forza del voto e delle procedure democratiche, perché avrebbero un’interlocutrice. Ha detto che dovrebbero farlo tutti gli antifascisti, come Ilaria. Che dovrebbero farlo, ovviamente, i compagni e le compagne con cui condivide la visione del mondo. E infine ha detto che dovrebbero farlo i liberali, quelli veri, ossia coloro che pongono come valore più alto la libertà dell’individuo, come baluardo lo stato di diritto.

Noi voteremo Ilaria. Se vi riconoscete in una di queste categorie, dovreste farlo anche voi.

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