Peculato, falso, truffa ai danni dello Stato. Sono tre tra i reati più comuni per i politici invischiati in problemi giudiziari, eppure non basta neanche essere condannati in via definitiva per finire tra gli “impresentabili” della commissione Antimafia. E così in tanto ringraziano, da Vittorio Sgarbi a Roberto Cota, in corsa per le Europee e scampati alla black list appena diffusa dalla Bicamerale presieduta dalla meloniana Chiara Colosimo.
Come è possibile un simile buco? Per capirlo bisogna tornare al 2019, quando la mediazione all’interno della maggioranza giallo-verde porta la commissione allora guidata dal 5 Stelle Nicola Morra ad approvare un nuovo Codice di autoregolamentazione per le candidature. I criteri per considerare un candidato “impresentabile” vengono parecchio allargati: sono inseriti vari reati come il traffico di influenze illecite, la frode nelle pubbliche forniture, la turbativa d’asta, l’autoriciclaggio. Chi è imputato o condannato (non solo indagato) per questi e altri reati – tra cui la corruzione, la concussione e l’induzione indebita – viene ritenuto impresentabile. Il problema è quel che il Codice continua a non includere, cioè i reati che già in precedenza non venivano considerati. E e che provoca le svariate assenze illustri di oggi.
Prendiamo Roberto Cota. Ex governatore leghista, è stato condannato in via definitiva a 1 anno e 7 mesi per peculato nel celebre processo delle spese pazze in Piemonte, quello delle iconiche mutande verdi. È uno dei reati che più spesso viene contestato agli amministratori locali e che più colpiscono l’opinione pubblica, soprattutto per l’uso improprio dei fondi ai partiti, eppure per l’Antimafia una condanna per peculato non rientra tra le cause di impresentabilità.
Ancora: Vittorio Sgarbi. Si porta dietro una condanna definitiva a 6 mesi per truffa ai danni dello Stato. Ma neanche questo reato è incluso tra quelli “censurabili” e così Sgarbi, per ora “solo” indagato in altri tre procedimenti seguiti agli scoop del Fatto, è salvo. Altro caso clamoroso è quello di Aldo Patriciello, candidato con la Lega e pure lui condannato in via definitiva, nel suo caso per finanziamento illecito. A scorrere le cause di impresentabilità del Codice, nemmeno il finanziamento illecito è citato.
Resta poi fuori il reato di falso ideologico: è l’accusa per la quale è imputato Ruggero Razza, candidato nella circoscrizione Isole con FdI, che secondo i pm da assessore regionale della Sicilia tentò di taroccare i dati Covid. Per lo stesso reato è stato condannato in Appello Mimmo Lucano, candidato con Alleanza Verdi Sinistra e non inserito nella black list. Infine, nell’autoregolamentazione non c’è nessun riferimento neanche all’abuso d’ufficio: il governo lo sta abolendo, ma l’Antimafia si è portata avanti.
A questi buchi si aggiunge poi un problema interpretativo. Colosimo e i suoi uffici non hanno infatti considerato impresentabile Carlo Fidanza, meloniano che ha appena patteggiato 1 anno e 4 mesi per corruzione. La corruzione è tra i reati che rende impresentabili, ma la commissione ritiene di non dover segnalare chi patteggia pene inferiori ai 2 anni (il cosiddetto patteggiamento ordinario, distinto da quello allargato che arriva a 5 anni). Tra omissioni e cavilli, si arriva così a un elenco piuttosto light.