Il 12 e 13 giugno 2011 il referendum sull’acqua pubblica unì l’Italia come poche altre volte: un plebiscito per l’acqua bene pubblico accessibile ad ogni essere umano. Sono passati 13 anni e la città di Napoli è stata l’unica istituzione italiana ad aver attuato quel referendum. Già pochi mesi dopo essere diventato sindaco, il 31 maggio 2011, trasformammo la società per azioni che gestiva l’acqua in un’azienda speciale pubblica. Lo facemmo non solo perché eravamo tra i promotori del referendum nei movimenti per l’acqua, fondamentali per il successo, ma perché è doveroso da un punto di vista costituzionale e normativo attuare la volontà popolare ai sensi dell’articolo 1 della Costituzione: la sovranità appartiene al popolo.
Non fu facile, perché in Italia il modello dell’azienda speciale pubblica che fa utili e non profitti non era stato mai attuato. Avemmo anche difficoltà a trovare un notaio disponibile, nella città patria dei giuristi. Facemmo uno statuto unico in Italia, che rilegai e che tenevo in evidenza sulla scrivania al Comune. La chiamammo ABC, acqua bene comune, con un consiglio di amministrazione, senza compensi, composto da cinque persone, nominate dal Sindaco a seguito di manifestazione di interesse pubblico, di cui due espressione delle associazioni ambientaliste. Le lavoratrici e i lavoratori facevano parte del comitato di sorveglianza.
Non fu facile perché c’erano, data la novità, preoccupazioni sindacali, economiche, finanziarie, amministrative. Una sfida storica. L’acqua non era più bene da profitto sottoposto al mercato, i cui introiti entrano nelle casse private o pubbliche a seconda del modello adottato e possono essere utilizzate per fini di ogni genere; ma bene comune, con cui si possono produrre utili che per statuto debbono essere reimpiegati nel ciclo dell’acqua.
Nel corso degli anni l’azienda è divenuta sempre più solida e abbiamo raggiunto traguardi importantissimi: un’acqua sempre più controllata e molto buona da bere. Con gli utili raggiunti si è migliorata la rete idrica anche riducendo le perdite di acqua negli acquedotti. Le tariffe delle bollette si sono ridotte perché l’acqua è stata sottratta alle logiche anche speculative del mercato. Abbiamo assunto centinaia di persone in una città con povertà di lavoro; affidato anche le fognature – attese le difficoltà di personale – al Comune, avendoci lasciato il centrosinistra un ente praticamente in default; sviluppato progetti di cooperazione internazionale decentrata realizzando due fonti d’acqua in Palestina e in Siria.
Quando sono divenuto anche sindaco metropolitano, abbiamo avviato l’estensione del modello in città metropolitana con la creazione dell’ente idrico metropolitano. Questo lavoro è stato possibile grazie anche al sostegno dei movimenti per l’acqua pubblica, e ci siamo riusciti nonostante gli ostacoli del governo regionale – che controlla le sorgenti d’acqua a monte – e dei governi nazionali, che hanno tradito il referendum. Addirittura il governo Draghi, sostenuto praticamente da quasi tutti i partiti, poco prima di cadere approvò una norma, nella legge sulla concorrenza, con cui di fatto imponeva agli enti locali di privatizzare tutti i servizi pubblici locali, acqua compresa. Una palese violazione della sovranità popolare sancita con il referendum del 2011 sull’acqua pubblica.
Accadde anche che quando presentai, poco prima della fine del mio mandato, progetti di finanziamento nel Pnrr per ulteriormente migliorare le condutture dell’acqua, al fine di eliminare ogni perdita anche per la sicurezza del sottosuolo e per contrastare la siccità, mi fu detto che non era possibile, perché ABC era un’azienda speciale pubblica che non poteva godere di finanziamenti nel Pnrr… che invece hanno dato poi per privati e multinazionali. Noi eravamo i sovversivi, in realtà solamente ubbidienti alla Costituzione; gli altri i normali, ma in realtà eversori della Carta Costituzionale.
A distanza di 13 anni da quel referendum, Napoli rimane l’unica istituzione ad aver attuato la volontà popolare avente ad oggetto il primo bene comune della vita: l’acqua, per la quale si stanno consumando e si consumeranno sempre di più le guerre nel mondo – riducendo anche i costi, come sarebbe potuto accadere anche con l’energia se non fosse stata oggetto di speculazioni dopo lo scoppio della guerra in Ucraina. Resta l’amarezza di essere stati ostacolati e non sostenuti dai governi nazionali e regionali che vanno a braccetto con le multinazionali, tradendo i beni comuni.