L’Europa ha bisogno di difendersi sul fianco orientale, ma la Nato in questo momento non è in grado di garantirle la protezione necessaria. E’ l’allarme lanciato dal Financial Times nel giorno in cui i ministri degli Esteri dell’Alleanza Atlantica si riuniscono a Praga per una due giorni di discussioni le future strategie di difesa in Ucraina contro l’invasione russa. Secondo il quotidiano britannico, l’organizzazione nata dal Patto Atlantico agli albori della Guerra fredda può fornire meno del 5% delle capacità di difesa ritenute necessarie per proteggere i suoi membri dell’Europa centro orientale da un eventuale attacco su larga scala, in un momento in cui la guerra mossa da Mosca a Kiev ha dimostrato l’importanza della difesa aerea. Un diplomatico di alto livello della Nato, citato dal giornale, ha detto che la capacità di difendersi dai missili e dagli attacchi aerei è “una parte importante del piano di difesa dell’Europa orientale dall’invasione”, aggiungendo: “In questo momento, non ce l’abbiamo“.

Alcuni leader europei e funzionari militari hanno affermato – scrive ancora il Financial Times – che la Russia potrebbe avere la capacità di attaccare uno Stato membro della Nato entro la fine del decennio. E secondo il governo britannico la “sfida della protezione contro gli attacchi dal cielo” sarebbe “la più acuta da oltre 30 anni”. Per il quotidiano l’uso massiccio da parte della Russia di missili, droni d’attacco a basso costo e a lungo raggio e di “bombe a planare” altamente distruttive in Ucraina ha reso più urgenti gli sforzi dei membri della Nato per aumentare la spesa per la difesa dopo decenni di tagli al bilancio.

“La difesa aerea è uno dei buchi più grandi che abbiamo”, ha detto un secondo diplomatico della Nato, citato dal giornale, “non possiamo negarlo”. Secondo il Financial Times “il fallimento degli Stati europei della Nato negli ultimi mesi nel fornire ulteriori attrezzature di difesa aerea all’Ucraina ha sottolineato le limitate scorte del continente di sistemi costosi e lenti da produrre”. Tuttavia “ha anche stimolato una serie di iniziative sovrapposte per cercare di trovare soluzioni a lungo termine” come lo Sky Shield, promosso da Berlino, e la richiesta di Polonia e Grecia alla Commissione europea di contribuire allo sviluppo di un sistema di difesa aerea europeo.

La notizia viene alla luce nel giorno in cui a Praga i ministri degli Esteri dei Paesi dell’Alleanza si riuniscono davanti a un tavolo colmo di dossier. Durante i colloqui, volti a preparare il vertice dei 32 leader dell’Alleanza che si terrà a Washington a luglio, dove il rafforzamento della difesa europea sarà un argomento centrale, a tenere banco saranno tre temi in particolare: l’invito reiterato negli ultimi giorni del segretario generale Jens Stoltenberg a dare l’ok a Kiev a utilizzare in territorio russo le armi fornite dai Paesi membri, il piano da 100 miliardi proposto all’inizio di aprile dalla stessa Alleanza per sostenere la difesa dell’Ucraina e la nomina del successore di Stoltenberg, in scadenza a ottobre.

Sul primo fronte, i Paesi più inclini – al momento una decina tra cui Francia, Polonia, Finlandia, Svezia, Danimarca e Canada – proveranno a convincere i più incerti a “rimuovere le restrizioni” imposte a Kiev sull’uso delle armi, in particolare quelle a corto raggio, necessarie a distruggere le postazioni da cui nel loro territorio attaccano in quello ucraino. “Il diritto all’autodifesa comprende anche la possibilità di colpire obiettivi militari, obiettivi legittimi al di fuori dell’Ucraina, obiettivi importanti, ad esempio, al confine con il territorio russo”, ha ricordato oggi Stoltenberg in apertura di vertice. Una mossa sulla quale oggi il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha messo in guardia l’occidente paventando l’abbandono della “moratoria unilaterale” sui missili e medio e corto raggio risalente al 2019 e misure di “deterrenza nucleare”.

Sul tavolo dei capi della diplomazia ci sarà anche il piano da 100 miliardi teorizzato da funzionari dell’Alleanza per il prosieguo della guerra in Ucraina a cui i singoli stati dovrebbero essere chiamati a contribuire. Con tutta probabilità la questione sarà affrontata soltanto con un approccio propedeutico al vertice di luglio, quando le elezioni europee di inizio giugno saranno alle spalle e i governi saranno più liberi di parlare di finanziamenti bellici senza temere ripercussioni in campagna elettorale.

Terzo capitolo, la successione a Stoltenberg. L’olandese Mark Rutte resta il candidato principale, benché la partita non sia chiusa. La candidatura del presidente romeno Klaus Iohannis – lanciata per protestare, in parte, contro il predominio dei grandi Paesi e portare le istanze del fronte orientale nel dibattito – oltre che da Bucarest è sostenuta solo dall’Ungheria. Un terzo Paese, la Slovacchia, non si è pronunciata. Gli altri 29 alleati sono tutti con Rutte. Iohannis, sostengono diversi diplomatici, mollerà il colpo a giugno. “Mi aspetto che si chiuda tutto in tempo per il vertice di Washington”, ha dichiarato l’ambasciatrice Usa presso la Nato Julienne Smith. La ministeriale informale di Praga serve per cercare di avvicinare le posizioni al livello politico. Dopo, l’ultima occasione disponibile sarà l’incontro dei ministri della Difesa a Bruxelles il 14 giugno.

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