Mentre in queste ore a Praga gli Stati della Nato discutono della possibilità di autorizzare Kiev a utilizzare le “armi a corto raggio” da loro fornite per colpire in territorio russo, Mosca risponde con un’intervista di Sergei Lavrov alle richieste in questo senso avanzate nei giorni scorsi dal segretario generale della Nato Jens Stoltenberg. Al giornalista dell’agenzia statale russa Ria Novosti che gli fa presente che “le strutture strategiche russe, comprese quelle nucleari, potrebbero essere attaccate dai missili americani con tempi di volo brevi se gli Stati Uniti dispiegheranno missili terrestri a medio e corto raggio in Europa e nella regione Asia-Pacifico”, il ministro degli Esteri ha risposto parlando di abbandono della “moratoria unilaterale sui missili e medio e corto raggio” e misure di “deterrenza nucleare.

Di quale moratoria parla Lavrov? Per capire la questione occorre tornare alla fine degli anni ’80. Nel clima di disgelo avviato dalle amministrazioni Reagan e Gorbaciov, Washington e Mosca raggiungono un accordo per la firma del Trattato Inf (Intermediate-Range Nuclear Forces), siglato l’8 dicembre 1987 da Ronald Reagan e Mikhail Gorbaciov per mettere al bando i missili balistici e da crociera a corto e medio raggio. L’obiettivo dell’intesa era quello di garantire un equilibrio tra i due maggiori arsenali nucleari del mondo, eliminando i missili balistici e cruise da 500-5.500 km di gittata lanciati da terra, armati in modo convenzionale o con testate nucleari e prevedeva un regime di verifiche reciproche, comprese ispezioni in loco che aprirono l’era della cooperazione bilaterale sul fronte del disarmo.

Il trattato era rimasto in vigore, seppure le reciproche accuse di non averlo rispettato si siano intensificate con il passare gli anni, fino al 2019. A febbraio di quell’anno l’amministrazione Trump aveva annunciato la volontà di uscirne in maniera unilaterale e agli inizi di agosto – dopo che a luglio Vladimir Putin aveva firmato una legge che sospendeva il trattato – il segretario di Stato Mike Pompeo aveva confermato l’uscita dall’intesa accusando Mosca di essere “la sola responsabile” della fine dell’intesa maturata a Reykjavík e firmata a Washington che aveva segnato una tappa cruciale del disgelo e della fine della Guerra Fredda. “Il ritiro degli Usa, conforme all’articolo XV del trattato, ha effetto a partire da oggi, dal momento che la Russia non si è attenuta al suo pieno rispetto”, aveva dichiarato il capo della diplomazia Usa in un comunicato.

In quell’occasione Mosca aveva dichiarato e chiesto agli Stati Uniti e agli altri Paesi Nato di dichiarare una moratoria sullo sviluppo di missili nucleari a breve e medio raggio in Europa, il territorio più esposto al venir meno del Trattato Inf. Una mano tesa che il leader dell’Alleanza Atlantica Stoltenberg aveva definito non credibile, dal momento che “la Russia ha schierato missili di questo tipo per anni”.

Ora Lavrov minaccia la revoca di quella “moratoria unilaterale” se gli Stati Uniti “dispiegheranno i loro missili in Europa o nella regione Asia-Pacifico”, riporta Ria Novosti. L’agenzia di stampa lega le parole di Lavrov alla dichiarazione fatta ad aprile dal generale americano Charles Flynn, secondo cui l’esercito degli Stati Uniti punta a schierare nella regione dell’Asia-Pacifico, entro la fine di quest’anno, un nuovo lanciamissili a medio raggio che potrebbe fungere da deterrente contro la Cina.

“Come riferito dal Ministero degli Esteri russo all’inizio di maggio – riporta Ria Novosti -, Mosca, in risposta alle azioni di Washington, sta intensificando lo sviluppo e avviando la produzione di sistemi missilistici a medio e corto raggio, e avverte nuovamente gli Stati che se tali sistemi americani compaiono in qualsiasi regione del mondo, la Russia revocherà la moratoria unilaterale sul loro collocamento”. Un altro piccolo passo in avanti di una escalation della quale, al momento, non si intravede la fine.

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