di Leonardo Botta

Abolire le liste bloccate per le elezioni politiche italiane? L’argomento, periodicamente, ritorna nell’agenda politica italiana insieme a quello, attualissimo, sul premierato: da più parti e a più riprese si invoca un ritorno alle preferenze, scomparse dal meccanismo delle elezioni per il Parlamento italiano da ormai oltre trent’anni: da quando, cioè, sulle ceneri della prima repubblica finita ingloriosamente sotto i colpi di Mani Pulite veniva introdotto il Mattarellum, sistema misto maggioritario/proporzionale che, per quest’ultima quota (relativa solo al 25 percento dei seggi), prevedeva un listino bloccato nella scheda elettorale.

Da allora la legge elettorale è stata modificata altre tre volte: con l’introduzione del Porcellum, concepito e poi quasi rinnegato da Calderoli; con l’Italicum voluto da Renzi in abbinamento alla riforma costituzionale, della quale conobbe la stessa sorte: non entrò mai in vigore; infine con il Rosatellum, che aveva il compito di rimediare ai profili di incostituzionalità rilevati dalla Corte Costituzionale per il Porcellum (in particolare con riferimento all’abnorme premio di maggioranza) e intanto, a differenza del Mattarellum, affidava maggior peso alla quota proporzionale rispetto a quella maggioritaria: operazione che, secondo i maligni, fu orchestrata da Renzi e concordata tra Partito Democratico, Forza Italia e Lega per escludere dalla maggioranza parlamentare partiti come il Movimento 5 Stelle e Fratelli d’Italia (tentativo malriuscito, tant’è che con le elezioni del 2018 nacque il governo giallo-verde).

In ogni caso, nessuna di queste norme ha mai reintrodotto le preferenze, a riprova di quanto le segreterie dei partiti ci tengano a scegliersi i propri parlamentari (talvolta nominandoli tra personaggi che definire improbabili è un eufemismo). Insomma, pare evidente che i leader preferiscano avere a Montecitorio e Palazzo Madama parlamentari più fedeli che capaci. Anche se, poi, questi deputati e senatori tanto fedeli non si dimostrano: nella scorsa legislatura si sono registrati oltre 450 cambi di gruppo parlamentare, 11 addirittura nell’ultimo giorno prima dello scioglimento delle camere! E qui va detto che il mio biasimo non va tanto ai voltagabbana che infestano le aule parlamentari, quanto ai partiti (quasi tutti) che ogni volta accolgono questi “transfughi” a braccia aperte.

In realtà, le storture che molti italiani lamentano nell’attuale sistema elettorale sarebbero non una, ma due, intimamente connesse tra loro: oltre alle liste dei nominati si rileva spesso il malcostume di paracadutare candidati da una parte dell’Italia a un’altra, in un collegio con il quale evidentemente non hanno nessuna affinità territoriale.

Intanto, credo che il quesito che stiamo discutendo (preferenze vs. liste bloccate) sottintenda un’altra questione sulla quale pure toccherebbe sciogliere una volta per tutte il nodo: alla fine, vogliamo che il nostro sistema politico sia maggioritario o proporzionale? Il taglio dato alla vigente legge Rosatellum propende, come dicevo, per il secondo, ma mi chiedo se sia esattamente ciò che gli italiani gradiscono, atteso che negli unici due momenti in cui sono stati chiamati a esprimersi (referendum Segni del 1993; referendum del 1999 per l’abolizione della quota proporzionale del Mattarellum, che per un soffio non raggiunse il quorum) hanno mostrato chiaramente di prediligere il maggioritario; ciò forse a ragion veduta, viste le distorsioni che il proporzionale (puro) aveva provocato in passato, nell’epoca in cui partitini dal 2/3 percento di consenso (PSDI, PR e PLI) riuscivano a condizionare pesantemente, spesso a paralizzare, governi e intere maggioranze parlamentari.

In ogni caso, nella Seconda repubblica la politica italiana ha dato, troppo spesso, una pessima prova nello scegliersi i propri candidati: oltre a personaggi davvero impresentabili ma presentati con notevole faccia tosta (l’elenco sarebbe lungo), le liste bloccate sono state talvolta assemblate con una buona dose di familismo: senza tornare con la memoria alle compagne di Berlusconi o alle famiglie Bossi, Mastella e De Luca, mi viene in mente il recente approdo in Parlamento delle coppie di coniugi Franceschini/Di Biase (Pd) e Fratoianni/Piccolotti (Sinistra Italiana), non considerando il parentado di Giorgia Meloni. Tutto ciò ha portato sconcerto nell’elettorato, che oggi credo invochi plebiscitariamente il ritorno alle preferenze (e intanto diserta in gran numero le urne a ogni appuntamento elettorale).

È interessante notare come l’idea del ritorno al proporzionale evolva in maniera opposta a quanto registratosi agli inizi degli anni 90, quando si celebrò il referendum per la preferenza unica (quello che Craxi provò invano a boicottare invitando gli italiani ad andare al mare): si passava, dunque, da quattro preferenze a una e poco dopo, arrivato lo tsunami di tangentopoli, alle liste bloccate; evidentemente si ritenne (non credo del tutto a torto) il sistema delle preferenze una (certo non l’unica) delle cause delle corruttele emerse dalle inchieste giudiziarie: come dimenticare il mitico on. Alfredo Vito, al secolo “mister 100 mila preferenze”, e i suoi difficili trascorsi giudiziari.

Perciò, dico: datemi una proposta di legge per il ritorno alle preferenze e io volentieri la sottoscriverò. Ma lo farò con la disincantata convinzione che l’abolizione dei listini bloccati certo non sarà la panacea dei mali della politica italiana: altri casi Alfredo Vito (o Domenico Zambetti, il consigliere regionale che comprò dalla ‘ndrangheta lombarda un pacchetto di 4.000 preferenze per la modica cifra di 200 mila euro!) temo ci attendano. E il rischio che i costi della politica lievitino ancora di più è alto.

Ma, almeno, con le preferenze gli italiani, quando eleggeranno qualche noto e losco figuro scrivendo il suo nome sulla scheda, non avranno più alibi: ne avremo una riprova già alle elezioni europee dell’8 e 9 giugno, quando probabilmente gli elettori manderanno a Strasburgo, a suon di preferenze, Vittorio Sgarbi (Fratelli d’Italia) già condannato per falso, truffa aggravata allo Stato, produzione di documenti falsi e assenteismo, oltre a essere stato cacciato recentemente dal governo per aver assolto in maniera molto “creativa” alla sua funzione di sottosegretario; Carlo Fidanza (FdI) che ha patteggiato pochi mesi fa una pena per corruzione per l’esercizio della funzione; e Roberto Cota (già Lega, ora Forza Italia), condannato per peculato in Regione Lombardia (ricordate la vicenda delle mutande verdi?).

Come si dice: il popolo è sovrano; e chi è causa del suo mal…

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