Colpisce la sincerità. Antonio Padellaro pubblica Solo la verità lo giuro, Piemme (autobiografia, ritratti, rivelazioni…), e oltre allo stile della narrazione colpisce la sincerità con cui si mette a nudo: “A ripensarci adesso è probabile che io sia stato sempre intimamente non di destra, ma con idee e inclinazioni da conservatore liberale sì. E che, dunque, la sinistra sia stata solo un modo per coprirmi, per dissimulare il mio vero io condito con una buona dose di opportunismo” (p. 131).

Intendiamoci, se qualcuno gli avesse dato del dissimulatore e dell’opportunista, Padellaro avrebbe risposto per le rime, ma qui è lui a parlarne. Occorre dunque capire e contestualizzare. “Ritengo giusto fare i conti – dice – con una scelta politica che, all’inizio della vita adulta, poco aveva a che fare col pesante cognome che portavo.” La sua famiglia era immersa nel fascismo – ecco il punto – e il fondatore del Fatto, all’età della ragione, ne prese le distanze.

Il lettore mi consenta una digressione: ho conosciuto Scalfari da vicino, e mi parlò delle sue giovanili idee fasciste, “eravamo imbevuti di quella cultura e di quel clima, indottrinati fin dalle scuole elementari. Non fu facile liberarsene.” Eppure, divenne un convinto difensore della Costituzione. Ecco. Padellaro per porre la Carta come guida non dovette nemmeno liberarsi di idee mai sue, ma, semplicemente, distaccarsi dalla tradizione di famiglia. Lo fece, e da direttore scrisse (sul primo numero): “La linea politica del Fatto è la Costituzione italiana” (p.123).

Molte le confessioni che il lettore troverà nel libro. Dei giornali e della vita sociale e politica del paese è analista e acuto osservatore: per non aver piegato la schiena (altro che opportunista!), è stato cacciato dal Corriere della Sera, poi dall’Espresso, infine dall’Unità (pp. 9-20). Sì, “c’era sempre qualcuno che voleva liberarsi di me.” Quindi? “Creai un giornale, Il Fatto, assieme a Marco… così sarebbe stato più difficile accompagnarmi alla porta”.

Padellaro ormai s’è liberato dal peso del suo cognome, e, attraverso Philip Roth, racconta: “se la tua non è una famiglia disastrata, al momento giusto i tuoi ti lasciano andare, perché sei pronto… a scegliere nuove fedeltà, nuove affiliazioni” (p. 20) e nuovi avversari: “Per quasi sette anni” (dall’Espresso al Fatto) “Berlusconi è stata la nostra assillante, monumentale, fantastica, irripetibile Balena Bianca.”

Ma non c’è solo il Cavaliere nel libro. Sono intense le pagine sulla strage di Charlie Hebdo e sulla scelta d’allegare al Fatto il numero speciale della rivista uscito dopo la strage. Decisione difficile. Coraggiosa. Non priva d’angoscia per le possibili conseguenze: “Antonio ti prego non farlo” (p. 42) dicevano alcuni nel giornale. L’inserto di Charlie uscì. Padellaro dissimulatore e opportunista? In verità nessun direttore di giornale italiano ebbe il suo coraggio. Questo è un fatto.

Molte le rivelazioni e i retroscena presenti in Solo la verità: le volte in cui Berlusconi tentò d’ammorbidirlo; quando Casaleggio sentenziò “Voi siete morti” (109-11); i mesi in cui il Fatto denunciò la Trattativa Stato-mafia (139-147); la seduta spiritica a casa Prodi durante il rapimento Moro; eccetera: appunti, ricordi, ritratti veloci e pungenti di personaggi incontrati in cinquant’anni di giornalismo.

Lucide le pagine sulla morte di Pasolini, vissuta da giovane cronista al Corriere: “Sono Oriana Fallaci, Padellaro, ascolta bene. Pasolini è stato ucciso dai fascisti. DAI FASCISTI, scrivilo!” (125), gli dice al telefono. E inizia un racconto preciso, che descrive il clima dell’epoca: arrivano molti giornalisti all’Idroscafo di Ostia “uno lo conosco, di norma divide i moventi dei delitti di sangue in due categorie dello spirito: ‘robba de pelo’ e ‘robba de culo’.” Mostra come certi giornali minimizzavano quello che invece fu un delitto italiano.

C’è molto altro naturalmente nel libro, e la risposta a tante domande. Non sempre i libri migliori sono quelli che vendono di più. Spesso è il contrario. Certo è che qui, in queste pagine – a volte amare e dure (anche con l’autore) – c’è il carattere di un uomo: denunce, verità, rivelazioni: sempre con una penna, uno stile, e una cura della forma che, dal giornalismo, guardano alla letteratura.

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