La donna è ripiegata su se stessa, le gambe raccolte e il viso nascosto. È nell’angolo di una stanza in ombra. Sul pavimento e sulla parete è proiettata la sagoma di un uomo del quale possiamo solo immaginare le fattezze. Quante volte abbiamo visto una fotografia così a corredo di un articolo sulla violenza di genere? Migliaia. Solo che quell’immagine è fuorviante, tende a rappresentare il maltrattatore come un mostro, una scheggia impazzita, una sagoma oscura indistinta che non appartiene a questo mondo, al mondo della normalità. E invece no. Perché quell’ombra è quasi sempre il compagno, il convivente, il marito o l’ex marito della donna ferita, umiliata, picchiata, stuprata o uccisa.

È nata da questa considerazione l’idea della commissione Pari opportunità del sindacato dei giornalisti dell’Emilia-Romagna (Aser) di lanciare un brainstorming collettivo tra i giornalisti italiani, compresi gli studenti delle scuole universitarie di giornalismo, per archiviare definitivamente le immagini che non aiutano a comprendere la violenza di genere. E per individuare un nuovo modo di rappresentarla – fuori dai clichè e dagli stereotipi, libera dai preconcetti – con il premio fotografico “Oltre la cronaca: uno sguardo etico sulla violenza di genere”. Una iniziativa che ha messo d’accordo tutti: l’Ordine nazionale dei giornalisti, la Federazione nazionale della stampa, l’associazione italiana reporters fotografi, l’associazione Giulia giornaliste.

Tutto nato dalla riflessione di Vera Bessone, giornalista del Corriere Romagna e membra della commissione Pari opportunità dell’Aser, convinta che ci sia ancora un grande gap da colmare nel racconto dei soprusi e delle violenze di cui sono vittime le donne. “Ormai ci sono molte regole che aiutano i cronisti a scrivere nel modo più corretto, depurando la narrazione da sessismo e pregiudizi culturali – dice Bessone –. Ce ne sono molte meno invece su come illustrare nel modo più appropriato una notizia sulla violenza di genere. Il premio vuole essere l’inizio di un percorso che cominci a colmare questo divario”.

Spesso sono la fretta e i ritmi di lavoro convulsi a imprigionare la redazione di una testata o di una agenzia di stampa in una narrazione tossica del fenomeno. E fino ad ora nessuno si era posto il problema di modificare non solo le parole e i concetti ma anche immagini che restano scolpite nella memoria collettiva. Immagini stantie, ripetitive, che non rappresentano la realtà della violenza sulle donne. “Anche negli ultimi anni abbiamo visto tanti titoli che sottendono giustificazioni per l’uomo violento – dice Serena Bersani, presidente dell’associazione Giulia –. Titoli come: Uccisa dal gigante buono oppure Lei vuole lasciarlo e lui la uccide. Titoli che riecheggiano attenuanti come la gelosia, la provocazione, la perdita di controllo, il raptus improvviso. Su questo problema, grazie anche alla formazione, abbiamo fatto passi in avanti. Mentre sulle immagini siamo ancora molto indietro. Basti pensare anche a come recentemente è stata rappresentata Alessandra Matteuzzi, ennesima vittima a Bologna di un ex fidanzato ossessivo che l’ha uccisa a forza di martellate, scaraventandole addosso anche una panchina di ferro. Sono state scelte foto in cui la vittima, che era molto bella, ha pose e sguardi ammiccanti che rimandano a stereotipi sessisti e maschilisti. È arrivato il momento di provare a immaginare qualcosa di diverso”.

Il progetto – il termine ultimo per partecipare, inviando i propri scatti, è il 30 settembre – prevede un premio di 1.500 euro al primo classificato per la categoria degli iscritti all’Ordine dei giornalisti e di 500 euro come premio speciale per gli iscritti al sindacato Aser. L’iniziativa è sostenuta anche da QN, da Legacoop Emilia-Romagna e Legacoop Bologna, oltre che da associazioni femminili come La Bologna delle donne e Coordinamento donne Rimini.

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