Perché Dallas è cambiata “da così a così”
Chi se lo sarebbe mai aspettato? A giudicare dalla prima parte della loro stagione, nessuno. Però Dallas è in Finale e non è roba da poco. Partiti male nel primo scorcio di campionato, disfunzionali, confusionari, con idee poco chiare, dall’All Star Game in poi più o meno hanno cambiato volto. Perché hanno innestato altre stelle? No, perché hanno innestato giocatori funzionali al loro sistema di gioco. Il basket sta tutto lì (piccolo messaggio subliminale ai cosiddetti “super team” …). Se grazie agli scambi “doni” così tanti punti di riferimento a due creatori di gioco on-the-ball come Luka Doncic e Kyrie Irving (72 punti insieme nella decisiva Gara 5), qualcosa di buono succede sempre. Quando – per dire – uno con i punti nelle mani (e la visione di gioco) di Doncic – a cui tra l’altro non puoi lasciare troppo spazio per il tiro da fuori – può attaccare dal palleggio, prendere il centro area e, indifferentemente, concludere, servire il perimetro o alzare un alley-oop, le difese si vedono costrette a fare delle scelte di certo non particolarmente semplici. Preso singolarmente, PJ Washington (arrivato a febbraio da Charlotte) non è altro che un decente role player. Nulla più. Nel sistema dei Mavs, oltre a dare una grossa mano in difesa, con il giusto ritmo (che dipende sempre dal passatore) è diventato – insieme a Derrick Jones Jr – bersaglio privilegiato per gli scarichi sul perimetro, tanto che nella serie contro Minnesota ha colpito da tre con addirittura il 54,5%. Questo ha contribuito a creare le giuste spaziature, a liberare l’area per le penetrazioni, a migliorare il flusso dell’attacco. Per non parlare di Daniel Gafford (preso dai Wizards sempre in corso di campionato), che ha protetto il ferro con le pale da mulino (vero Towns?), mentre grazie a linee di passaggio competenti (di due artisti del lob come Doncic e Irving) ha schiacciato a canestro qualsiasi cosa lanciati al ferro. Per quanto la serie sia stata molto più equilibrata di quello che appaia, per i T-Wolves la coperta è stata spesso troppo corta. E i Mavs si giocheranno una Finale NBA storica contro i Boston Celtics.

Anthony Edwards e la lezione di crescita
Il cambio di passo di Dallas ha riguardato anche la difesa. Doncic e Irving, quando ha contato, hanno iniziato a piegare sul serio le gambe (non a ogni azione, eh, per carità…). Gafford e Lively hanno portato centimetri e intimidazione sottocanestro. Jones Jr e Washington atleticamente e fisicamente sono in grado di cambiare su più ruoli. Se n’è accorto Anthony Edwards, che nella Finale di Conference non ha dominato con la stessa evocativa “jordaniana” attitudine di sempre (attitudine, badate bene, Jordan è su un pianeta a parte…). Bisogna dare, senza dubbio, merito anche a coach Kidd e alla sua strategia “possono batterci tutti, ma non il loro primo violino”. La stella di Minnesota ha faticato a trovare il ferro contro una difesa fatta di giocatori così alti e atletici e con due pertiche sottocanestro come Gafford e Lively. Gli hanno costantemente dato la caccia sui pick-and-roll, lo hanno raddoppiato sul perimetro, gli hanno disturbato le incursioni in palleggio, hanno cercato di toglierli ritmo on-the-ball, costringendolo a scaricare la palla più spesso di quanto fosse abituato a fare (e l’assist non è ancora tra le sue armi più pregiate). Il talento è tanto, quindi Edwards ha comunque chiuso con 24,5 punti di media. Ma ha tirato male nei pressi del canestro, pur rimanendo molto preciso da tre punti (45,5%). È una lezione che l’ex Georgia dovrà metabolizzare, fare sua, e analizzare con calma. Perché, a 22 anni, quello che gli ha inflitto Dallas può rappresentare un mattone fondamentale nella sua strada verso la vetta.

La difesa dei T-Wolves che fine ha fatto?
Quando si dice che nella NBA contano gli accoppiamenti. Se la difesa dei T-Wolves era stata fattore determinante per eliminare i campioni in carica dei Nuggets, contro Dallas ha perso parecchia efficacia. Esclusivamente per questioni legate alle diverse caratteristiche degli avversari. La pressione sulla palla di Minnesota, per esempio, aveva funzionato alla grande contro Denver. È stata meno efficace contro Dallas. Perché una cosa è pressare in palleggio (anche a tutto campo) Jamal Murray, Reggie Jackson, Aaron Gordon o anche lo stesso Jokic. Altra cosa è farlo contro due trattatori della sfera eccellenti come Irving o Doncic. E una volta che uno dei due superava la prima linea difensiva palla in mano, anche lo schema di aiuto di Minnesota andava spesso in tilt. Soprattutto quando ad attaccare era Doncic, che si è esibito in una serie di letture di alto livello, con una volontà di condividere la palla senza precedenti. Una volta in area, Doncic aveva (quasi) sempre chiaro il quadro della situazione. Il lungo viene in aiuto? Alley-oop per Lively. Il lungo non aiuta? Tiro dalla media. Si stacca qualcuno dal perimetro per aiutare? Scarico per il tiratore in spot-up. Molto efficace. Molto bello da vedere. Vedremo se basterà contro i Celtics.

That’s all Folks!

Alla prossima settimana.

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