Il mondo del Manchester United è in attesa di sapere chi sarà l’allenatore della prossima stagione: una conferma inattesa dell’olandese Erik Ten Hag, oppure una nuova guida, come si dice apertamente da tre mesi e con l’italiano Roberto De Zerbi indicato tra i favoriti. Ma c’è un altro mondo United, composto da un migliaio di dipendenti, che sta vivendo giorni d’ansia dopo aver ricevuto una mail in cui si chiede di prendere in considerazione l’ipotesi di dimissioni volontarie, con piccole forme di buonuscita. Il tempo limite per rispondere è il 5 giugno. Il primo giugno è previsto invece il rientro al lavoro in ufficio da parte di chi è in smart working: anche in questo caso, l’ordine è arrivato tramite una mail collettiva.

Il vento nuovo che sta soffiando all’interno del club più potente d’Inghilterra ha un nome e un cognome: Jim Ratcliffe, l’uomo più ricco del Regno Unito, proprietario del Nizza e patron della INEOS. Sir Jim ha acquisito ai primi dell’anno una quota di minoranza dello United, pagando un miliardo di dollari. Ratcliffe ha dato un’occhiata ai conti ed è rimasto di sasso. Sapeva che la gestione dei Glazer, acquartierati negli Stati Uniti, nei diciannove anni del loro regno è stata lacunosa, ma non si aspettava di trovare un club conciato in questo modo. Lo stadio da ristrutturare, con il tetto dal quale filtra l’acqua. Il centro tecnico di Carrington obsoleto. Sprechi e perdite consistenti: 50 milioni di euro l’anno, nonostante entrate da 762 milioni.

Ratcliffe ha affidato l’opera di revisione dei costi operativi e commerciali alla società di consulenza Interpath Advisory. Sulla base dei risultati di questo lavoro, si passerà al piano operativo, ma la ristrutturazione è già partita, con una serie di novità che hanno scosso l’abituale tran tran dello United. Sono state ritirate le carte di credito al personale. Ai dipendenti che hanno viaggiato da Manchester a Londra per seguire la finale di FA Cup del 25 maggio, è stato chiesto di contribuire alle spese e non è stato fornito il cibo. Piccoli risparmi, per cominciare, ma il grosso arriverà nel secondo semestre 2024: si passerà ai tagli sostanziali.

L’addio allo smart working vuole seguire le linee guida della INEOS. La questione della riduzione del personale è un argomento spinoso che ha creato qualche malumore anche nella parte americana del club. Ratcliffe è convinto che mille dipendenti siano troppi e vuole sforbiciare. Lo United ha una forza lavoro consistente per varie ragioni: ha uno degli store più grandi del mondo, ha uffici a Manchester e Londra, ha una rete commerciale diffusa in quattro continenti, soprattutto in Asia. Come sempre accade in questi casi, si colpisce però soprattutto la base, ovvero chi è meno tutelato e ha stipendi più bassi.

I veri problemi del “rosso profondo” dello United sono stati creati non da chi guadagna duemila/tremila sterline al mese di stipendio – in una nazione come l’Inghilterra la quota minima per sopravvivere -, ma dagli scempi operati sul mercato dei calciatori. L’ultimo disavanzo di mercato è stato di 143,96 milioni, per una rosa che ha chiuso la Premier all’ottavo posto e ha vinto la FA Cup grazie a un Manchester City arrivato alla finale con la testa vuota dopo le celebrazioni per il quarto titolo. Nel 2022-23, il disavanzo è stato di 219,63 milioni. Nel 2021-2022, un “rosso” di 110,9 milioni. Nel 2020-2021, in piena emergenza Covid, saldo negativo di 64,3 milioni. Nel 2019-2020, meno 155,62. In totale, in cinque stagioni il deficit complessivo della campagna trasferimenti è stato di 684,41 milioni di euro. A questo squilibrio, bisogna aggiungere il dato dei salari dei calciatori: con 244,13 milioni di stipendi, il Manchester United è in testa tra i venti club della Premier 2023-2024. A chiudere il cerchio di una gestione discutibile, la vicenda sponsor: i risultati degli ultimi dieci anni hanno allontanato alcune aziende.

L’analisi di questi fattori dovrebbe spingere Ratcliffe a partire dall’alto per la spending review, ma, come sempre, si cercherà invece di colpire soprattutto la fascia bassa. Il tetto che fa acqua, i giocatori strapagati e dal rendimento deludente, la fuga di qualche sponsor sono responsabilità da addebitare a manager e direttori, ma, ancora una volta, pagheranno soprattutto i peones.

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