Per i miei amici l’astensione dal voto è un’opzione criminale. Stavolta però tra i duri e puri del voto c’è chi vacilla davvero, perché qui in Piemonte è proprio difficile trovare anche una sola buona ragione per fare il proprio dovere di cittadini.
A giustificare lo scoramento ecco qualche numero: fra il 2000 e il 2019 il Pil del Piemonte è cresciuto dello 0,7% complessivo (quindi fermo), quello delle altre regioni del Nord del 9,7%. I numeri di Bankitalia su Torino e provincia confrontati con quelli di Milano, Genova, Venezia e Bologna testimoniano che, nei 19 anni presi in considerazione, le altre città hanno tutte avuto una crescita di oltre il 17%, Torino è decresciuta dello 0,6.
Tornando al Piemonte, il Pil 2022 – depurato dell’aumento dei prezzi al consumo – registra un arretramento di quasi l’1% rispetto a quello dell’anno precedente. Improbabile un’inversione di tendenza nel 2023, non basta celebrare il felice momento della nocciola tonda e gentile del Piemonte di cui il Presidente uscente è produttore. All’economia della regione non basta la nocciola, è la manifattura industriale il cardine dell’economia e non sta affatto bene.
Salvo miracoli, Cirio ha già vinto le elezioni. Il massimo della sorpresa saranno le percentuali del suo trionfo. Sondaggi impietosi, ma tutti convergenti, confinano il centrosinistra di Gianna Pentenero nei paraggi del 30%, col Pd fra il 15 e il 19. Più che un disastro, l’irrilevanza. Idem per i 5stelle – quasi mai in partita nei cinque anni appena trascorsi e falcidiati dagli abbandoni – e Piemonte Popolare di Francesca Frediani (ex M5S), la sinistra “giudiziosa” che prova a colmare un vuoto con gli strumenti di sempre, gli stessi che l’hanno affossata in passato e che non la favoriscono oggi.
La campagna elettorale sembra la sceneggiata di un’altra epoca, un’altra stagione, un altro posto. Mentre la politica ipoteca il futuro dei suoi cittadini, facendo debiti e disastri, chi comanda per davvero non si ferma neanche sotto elezioni perché il suo essere sottobosco prescinde dal risultato. E’ un impasto di inciuci, rendite di posizione, intrecci fra i vertici degli enti pubblici, corporazioni e il mondo di una imprenditoria sempre più parassitaria. E’ un sistema chiuso, dove si accede per cooptazione. Lavora per la sua stabilità e per l’ingrasso, popolato del sottobosco abituato più a spolpare che a nutrire.
La vicenda della Fondazione Crt è la rappresentazione plastica del baratro in cui, non da oggi, sono finite le istituzioni cardine della Regione: un politico-faccendiere che divora incarichi e cariche con la voracità di un blob – soddisfacendo gli appetiti di chi deve sostenerlo nell’abbuffo – viene sfiduciato dai suoi ex-supporters. E parla, rilascia interviste, minaccia, così si scoprono le trame di una Fondazione che gestisce il denaro della collettività (e pure parecchio), col corredo di lobby nascoste, patti occulti, correnti e centri di interesse. In mezzo, mogli di mariti eccellenti, coniugi dalle partecipazioni intrecciate, il solito mondo familistico e post Fiat.
Si scopre così che perfino la rappresentante del Terzo Settore e del mondo della cooperazione sociale partecipa alla spartizione dei posti che segue la defenestrazione, pappandosi allegra la sua fetta. Stavolta i giornali hanno dato rilievo e spazio alla vicenda, ma hanno glissato sullo spiegare ai lettori degli intrecci del sistema di potere che non da oggi accompagna il declino di questa regione.
Ne ho scritto di recente, la Fondazione della Cassa di Risparmio di Cuneo non ha visto i fuochi d’artificio della torinese, ma non si sono sopite le polemiche e permane la sensazione di un giro di ricattini e dossier pronti per l’uso, tutti bipartisan.
La spesa sanitaria (9 miliardi circa nell’ultimo anno) impegna l’80% del bilancio della Regione. Nei cinque anni di Cirio e centrodestra un solo ospedale è stato inaugurato, quello messo in cantiere dai suoi predecessori e la cui costruzione è durata vent’anni. Per il resto siamo al palo, con strutture vecchie, in continua e costosa manutenzione e palesemente inadatte a sviluppare sanità all’avanguardia, ricerca e sperimentazione.
Figuriamoci poi la rete a corredo delle strutture ospedaliere, dalla riabilitazione al sollievo, come ben sanno i piemontesi. Ascoltando le proposte dei candidati, specialmente dei due principali contendenti la carica di presidente, non si coglie la differenza. L’orizzonte che descrivono è lo stesso, quello che ha prodotto i disastri di cui sopra. Probabilmente le elezioni non serviranno a invertire la rotta, la svolta non viene da lì.
C’è bisogno di una nuova politica – idee e linguaggi e persone autorevoli – per dare voce al ceto medio impoverito, alle prese con la cassa integrazione perpetua, l’assenza di prospettive e le povertà diffuse. Il compito è progettare e organizzare la transizione dalla concentrazione del potere e della ricchezza alla loro ridistribuzione, intanto liberandoci degli spolpatori e dando spazio a chi persegue cooperazione invece che prepotenza.
I soggetti che potrebbero farlo sono nelle tante start up e imprese che costruiscono innovazione, sono i giovani che potrebbero trovare qui buone ragioni per restare e coniugare carriera e impegno civico. Ne vediamo parecchi nel mondo del volontariato, nelle manifestazioni e nelle iniziative che rilanciano l’impegno collettivo, nelle nuove generazioni di lavoratori che ritrovano il gusto di stare insieme a discutere e lottare. Ce ne sono tanti, distanti dal teatro dei politici. Guardano, partecipano, giudicano. Forse da lì scatterà la scintilla.