Adesso il problema per Donald Trump è trovare, il 5 novembre, 70 milioni di cittadini americani (o giù di lì) disposti a votare un ‘convicted fellon’, un pregiudicato, e a rimandarlo alla Casa Bianca invece che in galera, facendone di nuovo il loro comandante-in-capo. Lui dice che il 5 novembre ci sarà “il vero verdetto”. E, su questo punto, è d’accordo il suo rivale, Joe Biden, presidente democratico: il verdetto di New York – dice – non cambia il fatto che “il popolo americano ha un solo mezzo per tenere Donald Trump fuori dallo Studio Ovale, le urne”.
Tutto vero. Nonostante la condanna, Trump può restare candidato e può essere eletto. E, quale che sia la pena inflittagli – la si conoscerà l’11 luglio – non andrà in prigione, perché potrà ancora fare appello contro il verdetto: i suoi avvocati lo hanno già preannunciato “appena possibile”. Ma ora il magnate è diventato il primo ex presidente degli Stati Uniti condannato per reati penali; e sarà anche il primo candidato presidenziale a correre come pregiudicato. Che impatto ciò avrà sugli elettori resta da vedere.
L’ex presidente è stato riconosciuto colpevole di tutti e 34 i capi d’accusa nel processo a suo carico celebrato a New York. La giuria è giunta all’unanime verdetto dopo una camera di consiglio durata meno di due giorni e un dibattimento serrato di sei settimane. Ora tocca al giudice Juan M. Merchan decidere la sentenza. Trump, candidato ‘in pectore’ alla Casa Bianca del partito repubblicano, rischia fino a quattro anni di carcere. Gli esperti, però, non ritengono probabile una sua condanna a una pena detentiva perché è incensurato. La pena può anche consistere in una messa alla prova, cioè una sorta di condizionale, o in una semplice multa.
L’ex presidente era sotto processo per avere cercato, riuscendoci ma con metodi illegali, di tenere celate agli elettori informazioni a lui pregiudiziali durante la campagna per Usa 2016 e, in specie, d’avere falsificato documenti contabili della sua holding per occultare un pagamento da 130 mila dollari alla pornostar Stormy Daniels perché tacesse su una asserita ‘notte di sesso’ avuta con lui – lui lo nega – dieci anni prima. Soldi pagati dal suo ex avvocato tuttofare Michael Cohen e poi rimborsatigli come spese legali fittizie, violando pure la legge sui finanziamenti elettorali e, quindi, l’integrità del voto.
Nonostante testimoni magari un po’ improbabili, un’attrice hard generosa di particolari sulla ‘notte di sesso’ e un avvocato radiato dall’albo e già condannato per avere mentito al Congresso, l’accusa ha convinto la giuria che questa vicenda non era una storia di corna, ma un’interferenza elettorale illecita.
Trump è sotto processo in altri tre procedimenti giudiziari, tutti federali: a Washington, per il ruolo nell’insurrezione del 6 gennaio 2021, quando migliaia di facinorosi suoi sostenitori, da lui sobillati, presero d’assalto il Campidoglio per indurre il Congresso, riunito in sessione plenaria, a rovesciare l’esito del voto; in Georgia, per le pressioni esercitate sulle autorità statali perché lo proclamassero vincitore nonostante avesse perso; in Florida, per avere portato via dalla Casa Bianca centinaia di documenti riservati, avere negato di averli ed essersi rifiutato di restituirli.
Ma nessuno di questi processi andrà a sentenza, ammesso che inizi, prima del 5 novembre, perché le tattiche dilatorie del magnate pregiudicato stanno avendo successo, talora con la connivenza di giudici amici da lui nominati – in Florida – e talora con il concorso di pubblici ministeri un po’ avventati – in Georgia. Trump ha pure chiamato in causa a più riprese la Corte Suprema, che deve ancora pronunciarsi sulla sua pretesa d’immunità per gli atti compiuti da presidente: lo farà, forse, prima dell’estate.
Ma la pretesa d’immunità non inficia il caso di New York, che riguarda reati compiuti prima che Trump divenisse presidente, quand’era soltanto candidato.
Difficile prevedere l’impatto della condanna sugli elettori. A borse chiuse, le azioni di Trump sono calate del 10% dopo la sentenza. Ma, poche ore dopo, il sito per le donazioni alla sua campagna, Winred, è andato in tilt per eccesso di traffico, inondato dalle offerte di chi vuole dare il suo obolo al povero miliardario.
Al termine del processo, Trump, che era in aula alla lettura del verdetto, ha commentato: “E’ stata una farsa, è una vergogna, il giudice è corrotto, sono un uomo innocente”; e ha annunciato che “continuerà a combattere” e a “lottare per difendere la Costituzione”. La campagna di Biden ha invece sottolineato che “il verdetto di colpevolezza contro Trump dimostra che nessuno è al di sopra della legge”.
Su X, lo speaker della Camera, il repubblicano Mike Johnson, scrive: “E’ un giorno vergognoso nella nostra storia”; e accusa Biden di “strumentalizzare la giustizia” contro Trump. Kevin Roberts, presidente di un think tank conservatore – l’Heritage Foundation – afferma: “Tutti gli americani sanno che questa è un’ingiustizia” e attacca l’apparato giudiziario newyorchese.
La campagna elettorale per Usa 2024 esce, per il momento e forse definitivamente, almeno fino all’Election Day, dalle aule di un tribunale per tornare nelle piazze reali e virtuali. Prossima data cerchiata in rosso: il 27 giugno, con il primo dibattito in tv fra Biden e Trump.