Un verdetto che fa la storia degli Stati Uniti. Per la prima volta, una corte di giustizia condanna un ex presidente. Per la prima volta, un ex commander in chief diventa un felon, un criminale. Il giudizio letto nel tribunale di Manhattan – Donald Trump colpevole per tutti i 34 capi di accusa che gli erano contestati – ha fatto in pochi secondi il giro dell’America e del mondo. Il verdetto apre una fase nuova, per molti versi ignota, nella politica statunitense e rende ancora più drammatica, cattiva e incerta la campagna presidenziale 2024.
“È stato un processo manipolato da un giudice corrotto”. Le parole di Trump subito dopo la lettura del verdetto lasciano poco spazio alle ipotesi. L’ex presidente userà la condanna come strumento di campagna elettorale, presentandosi ancora una volta come vittima di un sistema giudiziario e politico che vuole distruggerlo. “Questa storia non finisce qui”, ha aggiunto minaccioso Trump. In una mail ai sostenitori, partita ieri sera, l’ex presidente si è addirittura definito “prigioniero politico”.
È molto difficile, però, che Trump possa davvero diventare “prigioniero politico”. Il giudice Juan Merchan ha fissato per l’11 luglio la lettura della sentenza, che stabilirà la pena che il tycoon dovrebbe scontare per aver manipolato i libri contabili nel tentativo di nascondere la storia di sesso con la pornostar Stormy Daniels, ottenendone un vantaggio elettorale. La legge prevede un massimo di quattro anni di prigione per questo tipo di reati, ma Trump ha già annunciato che farà appello. Nel frattempo, trattandosi di crimini che non hanno comportato atti violenti, potrà con ogni probabilità godere della libertà vigilata. Per lui ci sarà al massimo il fastidio di dover presentarsi al Department of Probation di New York per esibire una buona condotta.
L’aspetto temporale è particolarmente rilevante. La convention repubblicana, quella che deve nominare Trump come candidato del partito alle presidenziali, prende il via a Milwaukee il 15 luglio, quattro giorni dopo la lettura della sentenza. Questo significa che Trump verrà incoronato in giorni prevedibilmente segnati da polemiche politiche infuocate. C’è un altro dato significativo: ci vorranno mesi prima di arrivare al processo di appello ed è escluso che si possa tenere entro il 2024. Gli americani andranno quindi a votare il 5 novembre con uno dei due principali candidati che è un felon, un criminale, e che in quanto criminale non è nemmeno ammesso al voto nello Stato, la Florida, in cui risiede. Si tratta di un altro fatto senza precedenti in una parabola privata e pubblica – quella di Trump appunto – che non ha precedenti nella storia americana.
Ciò conduce all’altra questione importante che questo verdetto pone: quella relativa alle ricadute sulle presidenziali 2024. È certo che Trump, i suoi principali collaboratori e il partito accuseranno democratici e giudici di aver scatenato la più orrenda caccia alle streghe della storia americana. Si tratta di “un giorno di vergogna nella storia americana”, ha affermato lo speaker repubblicano della Camera, Mike Johnson. Per il numero due del Gop all’assemblea, Steve Scalise, questo giudizio “trasforma gli Stati Uniti in una repubblica delle banane”. “Nessuno a New York, se non Donald Trump, sarebbe mai stato condannato con prove come queste” sostiene Andy McCarthy, analista legale di Fox News, la tv del trumpismo. “I democratici sono degli stalinisti e rivelano il loro disprezzo per la democrazia americana”, accusa Steven Cheung, direttore della comunicazione di Trump. E Tucker Carlson, uno dei giornalisti di destra più noti d’America, parla della “fine del sistema giudiziario che un tempo era il più equo del mondo”.
“La vera sentenza ci sarà il 5 novembre e sarà quella popolare” ha detto Trump fuori del tribunale, dopo il verdetto. Nessun dubbio quindi che in ogni suo comizio, da qui al giorno del voto, risuonerà la stessa accusa: quella di aver cercato di farlo fuori con mezzi illeciti. È un’accusa che renderà appunto ancora più esplosivo il clima di queste presidenziali, alimentando ogni tipo di fake news. Un’anticipazione l’abbiamo avuta quando i 12 giurati non avevano ancora pronunciato il loro verdetto; John Roberts, anchor di Fox News, ha postato su X un commento in cui scrive che “il giudice Merchan ha appena detto ai giurati che non hanno bisogno dell’unanimità per ottenere un verdetto di condanna”. Non era vero, Merchan aveva detto ai giurati l’esatto contrario, e cioè che l’unanimità dei 12 membri della giuria era necessaria, sia in caso di condanna sia di assoluzione.
Nel giro di pochi minuti, Roberts è tornato sulla questione, cercando di chiarire il suo pensiero. Inutilmente. Il suo post era già stato visto da quasi sei milioni di persone, rilanciato da Steve Bannon, interpretato come la prova della caccia alle streghe contro il tycoon. L’indignazione si è subito mescolata ad aperte minacce al giudice Merchan. Su Gab, sito molto popolare tra la destra USA, qualcuno ha scritto “Mi dicono che succedono brutte cose ai giudici nei vialetti di accesso alle loro case”. Lo stesso Trump ha colto al volo l’occasione, scrivendo sul suo social Truth: “È RIDICOLO, ANTICOSTITUZIONALE, ANTIAMERICANO che il giudice Merchan non chieda una decisione unanime per le false accuse contro di me”. Una bufala totale è quindi rapidamente diventata verità assoluta per il popolo trumpiano. E si tratta solo di un assaggio di quanto succederà nei prossimi mesi. Se è infatti difficile prevedere gli effetti che la sentenza avrà sul risultato finale delle elezioni, una cosa è certa sin da ora: la decisione dei 12 giudici di New York dà a queste presidenziali un valore che nessuna elezione del passato ha avuto. Sul voto del 5 novembre rischia di abbattersi una carica di odio e di follia tali da mettere a rischio gli equilibri istituzionali e politici americani.