Un emendamento del governo per provare a stroncare (ancora una volta) il mercato della cannabis light. Niente a che vedere con lo sballo stupefacente: Meloni e Salvini vogliono impedire la vendita di infiorescenze, oli e tisane con un livello di Thc (il principio attivo psicotropo) al di sotto dello 0,6%. Dunque, nessun effetto drogante. Invece il provvedimento delle destre pone un’equazione discutibilissima: il fiore della canapa con il Thc è uguale a quello senza. Del resto, alla vigilia delle europee, sbandierare il vessillo della “lotta alla droga” porta voti.

A pagarne il prezzo saranno le imprese e i lavoratori di un business in crescita, con una fetta di clientela d’ora in poi a bocca asciutta. In Italia si contano 800 aziende agricole dedite alla coltivazione della cannabis light, 1.500 ditte specializzate nella trasformazione: circa 10 mila i lavoratori impiegati. Lo slogan di Meloni appena giunta a Palazzo Chigi era una strizzata d’occhio alle aziende e al libero mercato: “Non disturberemo chi vuol fare”. Ma per la cannabis light il discorso non vale.

Infatti l’emendamento al ddl sicurezza vieta “l’importazione, la cessione, la lavorazione, la distribuzione, il commercio, il trasporto, l’invio, la spedizione e la consegna delle infiorescenze della canapa (Cannabis sativa L.), anche in forma semilavorata, essiccata o triturata, nonché di prodotti contenenti tali infiorescenze, compresi gli estratti, le resine e gli oli da esse derivati“. Per un negozio di cannabis light, l’unica soluzione è svuotare gli scaffali e abbassare la saracinesca, altrimenti si rischia l’accusa di spaccio. “Il governo vuole vietare le infiorescenza e gli estratti di cbd, cioè il 95% dei prodotti in vendita – spiega il pioniere della cannabis light Luca Marola – all’imprenditore resta solo la chiusura per inedia”.

L’emendamento però trova il plauso di Coldiretti. “Già il testo unico sugli stupefacenti vietava il commercio delle infiorescenze a scopo ricreativo, gli imprenditori ben sapevano di rischiare una sanzione penale”, dice al Fatto.it Stefano Masini. Per il responsabile Ambiente dell’associazione vicina al governo, la misura colma il vuoto legislativo apertosi con la legge del 2016. La norma infatti consente la coltivazione di canapa con un livello di thc fino allo 0,6%, ma non cita mai il commercio né la vendita delle infiorescenze. Nel silenzio della legge, qualcuno ha pensato di vendere il fiore in bustine, oppure di estrarre il principio attivo del cbd per farne olio e molto altro. Così è nato un mercato da un miliardo e mezzo di euro, secondo il rapporto di Logista e The European House Ambrosetti.

Mentre uccidono il mercato del fiore, le destre vogliono salvare gli altri affari offerti dalla canapa: profumi, cosmetici, prodotti di benessere, creme, alimentazione, bevande e l’elenco è lungo. Sono i settori consentiti dalla legge del 2016. Ma la filiera non è mai decollata (al contrario della cannabis light) per via dell’incertezza delle norme. Coldiretti compie una scelta di campo: “Ci interessano gli usi industriali legali al 100%, come l’alimentazione, l’erboristeria, prodotti di benessere”, chiosa Masini.

Ma la mannaia dell’emendamento rischia di abbattersi anche sui settori industriali elogiati da Coldiretti. Ne è convinto Beppe Croce, presidente di Federcanapa: “Diverse aziende estraggono i principi attivi (tranne il thc) dalle infiorescenze per venderlo all’estero, con l’emendamento sarebbe vietato”. Il business riguarda soprattutto il cbd (cannabidiolo), uno dei principi attivi della canapa privo di effetti psicotropi e con proprietà benefiche. La Corte di Giustizia europea, nel 2020, ha emesso un verdetto: il commercio del cbd e dei prodotti che lo contengono è legale (finché la scienza ne esclude la pericolosità) e un divieto si giustificherebbe solo per la tutela della salute pubblica.

È la leva del governo per far passare il provvedimento. Infatti al question time del 29 maggio, il ministro del Made in Italy Alfredo Urso si è soffermato sulla pericolosità del thc: “Sino allo 0,6% è potenzialmente idoneo a determinare l’effetto psicoattivo, anche se blando, come evidenziato da consolidata giurisprudenza in tossicologia forense”. Un’affermazione discutibile, per due motivi. Il primo: anche se fosse vero, l’emendamento mette al bando tutte le infiorescenze (anche se prive di Thc) e perfino l’estrazione e il commercio del cbd. Secondo problema: non è affatto detto, come sostiene Urso, che il thc abbia effetti psicotropi anche sotto la soglia dello 0,6%.

L’avvocato Carlo Alberto Zaina, studioso del settore, smentisce seccamente il ministro meloniano: “Quando i reperti sequestrati non superano la soglia dello 0,5% di Thc, la giurisprudenza è ultra consolidata nel senso di escludere qualsiasi forma di effetto psicotropo – sostiene il legale – Infatti nel 95% dei casi arriva l’assoluzione o l’archiviazione perché non si tratta di sostanze illegali e droganti. Posso citare, nell’ultimo triennio, almeno 50 sentenze nei tribunali di tutta Italia. L’onorevole Urso dovrebbe essere prudente e informarsi meglio, leggendo le sentenze e qualche manuale di tossicologia forense, senza dimenticare la circolare di Matteo Salvini datata 2018”. L’avvocata Zaina si riferisce al documento del Viminale del 31 luglio. Lo firmò il ministro della “lotta alla droga”, il capitano della Lega, per mettere nero su bianco un principio: sotto lo 0,5% di Thc non c’è nessun “effetto drogante”. Del resto, la Cassazione l’ha stabilito con la pronuncia 30475/19 del 30 maggio 2019: senza “effetti droganti”, si possono vendere i derivati della canapa. Eppure, i rischi di conseguenze legali per gli imprenditori sono altissimi.

Luca Marola è “l’inventore” della cannabis light in Italia. Quando aprì la sua azienda Easyjoint , nel 2017, di sicuro fu tra i primi. “Un giorno mi hanno sequestrato 670 chili di cannabis, valore 2 milioni di euro, hanno bruciato tutto tranne un centinaio di campioni – racconta Marola – Li hanno analizzati, misurando una concentrazione media di thc intorno allo 0,2%”. Ora il fondatore di Easyjoint è a processo, a Parma, per spaccio di stupefacenti. Rischia fino a 6 anni di galera: dopo l’estate inizieranno le arringhe finali in attesa del verdetto. Marola è ottimista ricordando un suo collega: “Assolto in appello, nessuno spaccio”. Ma esprime l’amarezza del veterano lasciato solo: “Alle altre imprese di cannabis light non è fregato nulla del mio processo ma io li avevo avvisati: il mio destino sarà quello degli altri, senza una battaglia condivisa”.

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