Di tutte le immagini di mercoledì sera continua a ronzarmene in testa una. Non è ad Atene dove la Fiorentina aveva appena perso la seconda finale di Conference League nel giro di due anni contro un modesto Olympiacos per un gol rubacchiato al 116’ minuto. No, era a Firenze, a millecinquecento chilometri di distanza. È una foto in bianco e nero: si vede un tifoso disperato in ginocchio, appoggiato a una delle tante travi che reggono la curva Fiesole dello stadio Artemio Franchi. L’ha diffusa uno dei profili twitter del tifo viola, 999_Fiorentina. Il tifoso è solo, ha una sciarpa al collo e una mano davanti alla bocca. Probabilmente sta piangendo. Chi lo sa, voglio pensare che sia così. Quel povero tifoso siamo tutti noi, oggi, domani e per diversi mesi.
La premessa è d’obbligo. Noi tifosi della Fiorentina giovedì mattina ci siamo risvegliati svuotati. “Pianto greco”, “Coppa stregata”, “Maledizione viola” titolavano i giornali. Nessuno di questi rendeva a pieno l’idea. È vero che il calcio è la cosa più importante tra le cose non importanti, ma la verità è che a Firenze ci siamo sentiti tutti traditi: come se lo avesse fatto una fidanzata, un collega, un amico speciale. I ragazzi di Vincenzo Italiano ci avevano detto che non avrebbero fatto gli stessi errori dello scorso anno (gol al ‘92 di Bowen, West Ham), ci avevano promesso che quest’anno sarebbe stato diverso, che avrebbero portato la coppa a Piazzale Michelangelo senza nemmeno giocare. Tutto era dalla nostra parte. È andata male, ancora una volta. Un terribile déjà vu. Insomma, per racchiudere tutto in un fortunato meme, non proveremo “mai una gioia”. Siamo e saremo destinati a soffrire. Non a caso uno delle pagine social più seguite a Firenze si chiama “suffering Fiorentina“.
Una volta che sarà passata questa “tragedia greca” e inizieremo a fare il conto alla rovescia per tornare al Franchi (con chi si gioca?), però, servirà una parola di verità sugli ultimi tre anni della Fiorentina. Le statistiche parlano da sole: un settimo e due ottavi posti, una finale di Coppa Italia, due di Conference League. Tutte e tre perse, vero, e non è un dettaglio da poco. Ma, fuor di retorica, la Fiorentina in questi anni è stata una delle più belle realtà del calcio italiano in termini di gioco e di risultati in Europa (pari forse solo all’Atalanta). E il merito è soprattutto di Vincenzo Italiano che nel 2021 ha preso in mano una squadra che veniva da campionati anonimi (decimi-tredicesimi posti) o addirittura orribili, con salvezze all’ultima giornata (do you remember 0-0 col Genoa?). Con tutti i suoi difetti, Italiano – già ribattezzato “l’iraniano” con una di quelle etichette che fai fatica a toglierti di dosso – è stato in grado di dare a questa squadra un’identità, un gioco, una mentalità. Ci ha portato in alto calcisticamente e per questo Firenze dovrebbe solo ringraziarlo.
Ma questo è il minimo. C’è molto di più. Il merito di Italiano, del presidente Rocco Commisso, del compianto Joe Barone e dei suoi giocatori è quello di aver fatto tornare l’entusiasmo a Firenze. Passione, orgoglio e tanta voglia di stupire. Il Franchi si è riempito ogni partita di più, una città che vive il calcio in maniera ossessiva non parlava d’altro, il mondo dei media (dai giornali alle radio all’ultimo profilo social) si è stretto – pure troppo – intorno a una maglia, diverse generazioni di ragazzi hanno pensato che il momento giusto fosse arrivato. D’altronde, vanno bene i racconti dei genitori e dei nonni che ricordano i gol di Kurt Hamrim, i lanci di Giancarlo Antognoni e le mitragliate di Batistuta, ma vuoi mettere vedere capitan “Biro” che alza un trofeo, Nico Gonzalez che lancia i cori sotto al Fiesole e la squadra travolta dall’amore di una città al ritorno a Peretola alle tre di notte (quante volte è successo in questi tre anni…)?
Abbiamo tutti inseguito quella coppa. Abbiamo guardato partite in posti improbabili a orari improbabili, abbiamo preso giorni di ferie per una trasferta, saltato appuntamenti (chissà se decisivi), abbiamo sofferto come dei cani dalla prima partita del girone al 116’ di Atene (e oltre), preso l’acqua al Franchi nella semifinale col Bruges con le mantelle viola. Mercoledì sera c’erano 28mila persone allo stadio di Firenze per vedere una partita attraverso un maxischermo. Non sono andato in Grecia, non potevo. Sono tornato a casa mia, a Livorno, per vedere la partita con mio padre che quando la Fiorentina ha vinto l’ultimo scudetto aveva cinque anni e probabilmente non si rendeva neanche conto di cosa fosse un pallone. Entrambi, insieme a un intero popolo, abbiamo sperato in quella coppa. L’abbiamo bramata. Abbiamo urlato, ci siamo abbracciati. È andata male, ancora una volta. Ma abbiamo sognato. E questo è l’importante.