A marzo del 2023 fu vittima di uno stupro di gruppo in un locale sui Navigli, a Milano. Oggi, dopo un anno da quella terribile notte, è stata licenziata dall’azienda per cui lavorava. A subire il benservito, giustificato con la necessità di una “maggior efficienza”, è stata una manager torinese di 32 anni.

La donna, dopo una festa alcolica, secondo quanto raccontato da La Stampa, il 21 marzo 2023 viene stuprata per una notte intera da tre ragazzi che conosceva. I responsabili della violenza vengono identificati e arrestati, mentre la vittima viene curata in ospedale. Colleghi e dirigenti dell’azienda per cui lavorava la 32enne, specializzata nel commercio di brand di lusso, con uffici ad Assago ma sede legale in Olanda, si dimostrano inizialmente vicini a lei, dandole tutto il loro sostegno. Il recupero dopo una violenza, però, richiede tempo e così, scrive il quotidiano torinese, dopo sei mesi di mutua, scandita da ricoveri in ospedale e sedute da psicologi e psichiatri, con anche il timore dei familiari della donna che potesse suicidarsi, la 32enne a settembre prova a tornare al lavoro. È fiduciosa di poter ricominciare, ma ha ancora bisogno di cure, alternando momenti di ottimismo ad altri di tristezza.

Passano ancora alcuni mesi, poi, a marzo, il fulmine ciel sereno: la società le consegna la lettera di licenziamento “per giustificato motivo”, offrendole, a mo’ di “prendere o lasciare”, 5mila euro di buonuscita. “In un’ottica di maggior efficienza abbiamo deciso di riorganizzare le nostre attività, sopprimendo la posizione di “Service Merchandiser” da lei attualmente ricoperta e ridistribuendo le sue attuali mansioni tra altri dipendenti attualmente impiegati presso di noi – si legge nella lettera di licenziamento secondo quanto riporta La Stampa – La informiamo che, dopo attenta verifica, abbiamo constatato l’impossibilità di adibirla ad altre mansioni”. Per lei è un ulteriore colpo che si aggiunge a una difficoltà psicologica che va avanti ormai da mesi, tanto che, racconta il suo avvocato, Alexander Boraso, che la segue per la parte civile e ha deciso di impugnare il licenziamento, al ricevimento della lettera “è addirittura svenuta”.

Non solo. Secondo il legale dietro al licenziamento, ufficialmente avvenuto per una necessità aziendale di “efficientare” le risorse, ci sarebbero anche dei video della violenza, finiti sulle chat, per i quali l’azienda “potrebbe perdere credibilità”. “Non avevano tempo di aspettarla, di permetterle di riprendersi”, dice ancora amaramente il legale. Non ci sarebbero, secondo l’avvocato, altri motivi dato che la 32enne non aveva ancora terminato tutti i permessi. Per l’azienda, però, il licenziamento è legittimo anche in virtù del mercato in cui opera la società che “richiede il raggiungimento e il mantenimento di adeguati livelli di profittabilità” che rende quindi necessario “efficientare i costi, aumentando la marginalità della nostra operatività”.

Intanto, il 16 gennaio scorso con una condanna a 3 anni e 7 mesi di reclusione con rito abbreviato e due rinvii a giudizio si è chiusa l’udienza, davanti al gup di Milano, a carico dei tre giovani, tra i 23 e i 27 anni, imputati per violenza sessuale di gruppo.

Foto d’archivio

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