Secondo il governo Meloni il discusso concordato preventivo biennale tra Agenzia delle Entrate e partite Iva dovrebbe consentire di recuperare gettito dai contribuenti con la maggior propensione all’evasione. Il rischio è che, al contrario, finisca per legittimarne una parte. In attesa dell’effettiva applicazione, che entrerà nel vivo tra poche settimane, i numeri pubblicati nei giorni scorsi dal dipartimento Finanze del Mef danno un’idea aggiornata delle condizioni di partenza. La prima evidenza è che la flat tax introdotta nel 2019 dai gialloverdi e ampliata dall’esecutivo in carica ha già rivoluzionato il rapporto delle partite Iva con il fisco. Il regime agevolato che consente di pagare solo il 15% di tasse al posto delle normali aliquote e addizionali ha attirato sotto il suo ombrello 1,8 milioni di autonomi, ditte individuali e professionisti (+4,4% sull’anno prima), quasi metà dei 3,8 milioni che nel 2023 hanno presentato la dichiarazione dei redditi. Continuano però a dichiarare pochissimo. E altrettanto poco rassicuranti sono i dati sull’altra categoria che potrà aderire al concordato, cioè gli autonomi e le società soggetti agli Indici sintetici di affidabilità fiscale.
Per chi ha la flat tax imponibile medio di 16mila euro – Partiamo dai forfetari. L’imponibile medio, che nel loro caso si calcola applicando ai ricavi dichiarati un coefficiente di redditività basato sulle spese presunte, si ferma a 16.381 euro. In lieve aumento (in un anno di forte ripresa del pil) ma ben sotto i circa 23mila euro dei lavoratori dipendenti su cui grava gran parte dell’Irpef. La media è peraltro influenzata al rialzo dal settore delle costruzioni e da quello delle attività immobiliari: chi lavora nei servizi di alloggio e ristorazione si attesta a soli 11.300 euro medi, chi è attivo nel commercio all’ingrosso e al dettaglio a 12.400 (vedi tabella). Valori che danno da pensare. Va ricordato che le ultime relazioni sull’evasione preparate dagli esperti nominati dal Mef hanno evidenziato come l’imposta piatta induca a nascondere ricavi per restare sotto la soglia massima oltre la quale si smette di goderne.
Il costo per lo Stato – In media, i forfettari hanno versato 1.947 euro di imposta per l’intero anno. L’incasso complessivo per l’erario è stato di 3,2 miliardi. Ma l’effetto netto per le casse pubbliche è una notevole perdita, visto che applicando l’Irpef a quei redditi si ricaverebbe ben di più. Quanto esattamente è assai difficile da calcolare, visto che bisogna tener conto dell’andamento dell’economia, del numero di partite Iva chiuse e aperte nel frattempo, dell’eventuale emersione di nero ma anche dell’effetto opposto legato come già visto al tentativo di non superare il tetto massimo di ricavi. La relazione tecnica della legge di Bilancio per il 2019, quando il regime forfetario già esistente è stato esteso alzando a 65mila euro il livello massimo di compensi che consente di beneficiarne, aveva stimato minori introiti per 1,4 miliardi, saliti poi a 1,7 miliardi con l’innalzamento a 85mila euro deciso a partire dal 2023. Sommando anche gli effetti della norma originaria, entrata in vigore nel 2016 per una platea ben più ridotta, il conto sale ulteriormente. Stando all’ultimo rapporto annuale sulle spese fiscali – agevolazioni e detrazioni – scritto da una commissione ad hoc presso il Mef, per quest’anno si parla di 3,1 miliardi di mancato gettito.
Solo il 44% degli autonomi ha “pagelle” sufficienti – Non va meglio se si guarda alle dichiarazioni dei 2,73 milioni di autonomi e società soggetti agli Indici sintetici di affidabilità fiscale, eredi degli studi di settore, da cui i forfettari sono esentati. Degli Isa si è molto parlato quando il governo ha deciso di non subordinare l’accesso al concordato preventivo biennale al possesso di una “pagella” almeno sufficiente. In effetti quel paletto avrebbe certo – come lamentato dalla maggioranza in commissione Finanze – ristretto di molto la platea a cui sarà proposto l‘accordo col fisco sulle tasse da pagare nel successivo biennio in cambio di una minore probabilità di subire accertamenti. Come emerge dalle ultime analisi del ministero dell’Economia relative ai redditi 2022, solo il 44,1% del totale dei contribuenti ha punteggio pari ad almeno 8 (il minimo per ottenere benefici premili) su una scala da 1 a 10. Nel 2021 era il 44,6%. Insomma: più di metà sono ritenuti a ragion veduta probabili evasori. Rispetto ai forfettari i ricavi medi dichiarati sono molto più alti, 46.920 euro, con un picco di 74.490 euro per i professionisti. Ma la distanza tra chi è sopra l’8 e gli insufficienti è abissale, con i primi a 78.142 euro e i secondi poco sopra i 22mila, il 71% in meno. Il divario si sta allargando: l’anno prima era del 68,5%.
I rischi del concordato biennale – L’avvio della fase operativa del concordato – il software per il calcolo della proposta sarà disponibile dal 15 giugno – sarà il momento della verità. È a quel punto che si scoprirà qual è la strategia adottata dalle Entrate per tradurre in pratica lo strumento su cui il viceministro Maurizio Leo ha puntato tutto, tanto da spingersi ad approvare il nuovo redditometro (“bastone” per chi non avesse aderito) all’insaputa di Palazzo Chigi con le conseguenze che si sono viste. L’amministrazione fiscale deve scegliere tra due strade. Se mirerà alto e proporrà ai probabili evasori con Isa insufficiente un reddito presunto di decine di migliaia di euro più alto rispetto all’ultima dichiarazione, il rischio flop della misura è dietro l’angolo. Se invece cercherà di raccogliere più adesioni possibile accontentandosi di incrementi contenuti, gli obiettivi di gettito immaginati da Leo sfumeranno. Gli introiti non potranno che calare, poi, se l’esponente di FdI accoglierà l’ambiziosa richiesta avanzata dai rappresentanti di commercianti e artigiani che siedono nella commissione degli esperti incaricata di aggiornare periodicamente gli indicatori Isa: a fine marzo gli hanno scritto per chiedere di correggere il decreto sul concordato prevedendo per i contribuenti virtuosi una flat tax da applicare al differenziale tra reddito dichiarato e cifra proposta dalle Entrate. Sono ancora in attesa di risposta.
Quanto ai forfetari, per loro la proposta di concordato riguarderà una sola annualità. Considerato che si potrà aderire fino a metà ottobre, avranno tutte le informazioni per valutare se è conveniente senza correre alcun rischio. A perderci, semmai, sarà l’erario.